Dopo 48 anni tornerà visibile l’Ultima Cena di Giorgio Vasari, un dipinto su cinque tavole commissionato per il Convento delle Murate a Firenze e poi trasportato in Santa Croce.
Qui vi era rimasto fino all’alluvione del 1966, dalla quale ne uscì gravemente danneggiato. La tavola rimase a lungo immersa nell’acqua e nel fango fino al naturale defluire delle acque.
Il colore fu immediatamente protetto da una velinatura a Paraloid B72 per evitare cadute di colore, funzione perfettamente espletata, ma che ebbe l’effetto di fissare sulla superficie anche lo sporco depositato. Nonostante l’asciugatura fosse stata compiuta con molta gradualità nel deposito climatizzato della Limonaia di Palazzo Pitti, l’azione combinata delle deformazioni del supporto ligneo in pioppo e il forte degrado degli strati della preparazione causarono una pericolosissima perdita di coesione di quest’ultima con il conseguente cedimento della adesione fra le tre parti costituenti: supporto – preparazione – colore. La pellicola pittorica si è così progressivamente staccata ed alzata formando dei sollevamenti a cresta, connessi con l’andamento anatomico delle fibre del legno.
Il coinvolgimento dell‘Opificio delle Pietre Dure iniziò nel 2005, quando si decise di affrontare il difficile problema di un restauro dell’Ultima Cena.
E ora le tavole, custodite nel laboratorio dell’Opificio delle Pietre dure alla Fortezza da Basso di Firenze, saranno visibili nel corso di tre visite guidate, per un massimo di 20 persone ciascuna, che si terranno venerdì 14 novembre alle 16, alle 16.30 e alle 17.