“Imagine Architecture – Artistic Visions of the Urban Realm” è una delle ultime pubblicazioni della casa editrice Gestalten, co-curata da Robert Klanten e Lukas Feireiss.
Quest’ultimo, eclettico editore che da anni incentra la sua ricerca sul rapporto che intercorre tra fenomeni architettonico-urbanistici e cultura, cura un’opera attraverso la quale sembrano sciogliersi i nodi che inestricabilmente legano architettura ed arti visive.
“L’architettura mostra una notevole flessibilità se considerata quale compagna delle arti”, e concepita in senso lato è divenuta “una forma altamente condizionante nell’analisi delle arti visive” (p.5).
Per districarsi tra i molteplici approcci che l’esplorazione di un tale argomento comporta, sembra dunque necessario partire da un presupposto fondante: l’architettura è una forma di immaginazione.
L’espressione architettonica che trasuda dalle opere presenti all’interno di tale pubblicazione lo dimostra, in quanto concepita in termini di “imageability”, ovvero abilità di creare un’immagine mentale che allo stesso tempo si configuri come visualizzazione architettonica.
I lavori presentati all’interno di “Imagine Architecture” sono sistematicamente ripartiti in quattro capitoli definiti, correttamente, da Feireiss “self-explanatory”, proprio in quanto riescono ad auto-sostenersi grazie alle forti fondamenta archetipe da cui muovono.
L’universo dell’abitazione (The House), la verticalità della torre (The Tower), la rielaborazione dello spazio urbano (The City) e, in ultimo, il fascino della decadenza (The Ruin) sono domini di innumerevoli casi particolari che si mostrano alla realtà secondo accezioni poetiche e polemiche.
Compendiare – in prima battuta- in una tale pubblicazione lavori inneggianti all’esplorazione dello spazio domestico è un’evidente presa di posizione, specie se vengono echeggiate, come in questo caso, opere del calibro de “La poétique de l’espace” di Gaston Bachelard. Qui il concetto di casa si configurava quale rifugio dall’esterno e allo stesso tempo luogo atto alla speculazione immaginifica.
E certo il progetto di Frank Halmans “Full house”(p.18) muove da considerazioni simili: realizzando un aspirapolvere ad immagine e somiglianza di una comune abitazione, l’intento èquello di sperimentare il rapporto tra interno ed esterno, di cui segno tangibile èla polvere, inevitabilmente risucchiata all’interno e conseguentemente agente minante della protetta intimità data dall’abitazione.
I riferimenti filosofici e storici si snodano anche lungo la seconda sezione dell’opera, che inneggia all’inesorabile verticalità torre, spesso manifestazione del “non finito”. Questa è, per lo meno, la declinazione alla quale si piegano le opere di Willet Moss “Made in Rome: the aleatoric landscape” e di Robert Overweg “Flying and Floating”. Concettualizzata l’idea di torre quale percorso strutturato a livelli, Moss realizza una serie di scale segnate da un senso “di contingenza, di accumulo e di entropia”(p.86). Quello di Overweg è piuttosto un “non finito” che si svela nel mondo virtuale ispirato ai videogiochi odierni, che tuttavia non può non rimandare alle improbabili architetture visionarie di Escher.
Il rapporto tra immaginazione e cambiamento spaziale è ben evidente specialmente all’interno del tessuto urbano. “L’architettura e la città, in quanto strumentali all’immaginario artistico, possono essere lette come manifestazioni visive di modalitàdi percezione e rappresentazione intimamente personali, intellettuali, sociali, economiche, politiche e culturali” (p.7). Combinare arte e progettazione urbanistica sembra l’obiettivo di James Rojas che, con “Improving civic engagement by combining art with urban planning” (p.168), riesce a creare un senso di comune appartenenza al territorio attraverso una rielaborazione spaziale immaginata dalla stessa comunità.
La “vasta gamma di immaginari architettonici contemporanei” scaturisce – in ultima analisi – dal fascino irresistibile della rovina. Intesa quest’ultima non meramente quale edificio fatiscente ma piuttosto quale parte di un processo dialettico, la rovina nasconde in realtàun’istanza di potenziale completezza, che spettatore ed artista raggiungono soltanto mediante la propria immaginazione produttiva.
La serie “Self-Portrait. Build. Destroy. Rebuild” (p. 226) dell’artista Adalberto Abbate sembra incentrata su questo percorso di edificazione, rovina e ricostruzione, che non si esplica nel contesto architettonico se non dopo essersi manifestato nell’intimo dell’individuo.
Imagine Architecture – Artistic Visions of the Urban Realm
Editore: Lukas Feireiss, Robert Klanten
Data di pubblicazione: August 2014
Formato: 24 × 30 cm
Caratteristiche: A colori, copertina rigida, 240 pagine
Lingua: Inglese
ISBN: 978-3-89955-544-8