«Non c’è nulla di materiale, noi stessi siamo solo scherzi di luce». (Medardo Rosso)
Medardo Rosso tormentava la materia, impastava la luce e lasciava che fosse l’atmosfera a modellare i contorni indefiniti delle sue sculture. Era dal 1979 che Milano non gli dedicava una mostra. Torna a farlo nel luogo che meglio lo rappresenta. La Galleria d’Arte Moderna, infatti, conserva uno dei nuclei più rilevanti della sua produzione, affiancato da una serie di prestiti nazionali e internazionali per ripercorrere la complessa vicenda di un anticonformista che seppe tradurre nella scultura l’emozione fuggevole dell’istante.
Torinese di nascita, milanese d’adozione e parigino per vocazione, Medardo Rosso (1858-1929) si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Brera da cui fui espulso dopo un anno soltanto. Insofferente agli insegnamenti accademici, inizia a dipingere e a scolpire entrando in contatto con l’ambiente scapigliato. È tra la ricerca plastica di Grandi, le pennellate frementi di Ranzoni e le tele imbevute di aria di Cremona che prende forma la sua rivoluzione.
Camminando per le strade, nota il sorriso beffardo del Birichino, ritrae con implacabile realismo la Ruffiana, rende percepibile tra le ombre del bronzo «la lucidità purpurea del naso rosso fragola [e] il gonfiore violaceo delle guance» (Camille de Saint-Croix, 1896) del Sacrestano ubriaco. La Portinaia è un ormai un volto dalla forma incerta e i tratti appena abbozzati. Sono i capolavori che inaugurano gli anni Ottanta, esposti nella prima sala della mostra.
Poco dopo si trasferirà nella capitale francese, dove si confronta con Rodin e con l’Impressionismo. Fa propria l’immediatezza della visione e la supera, coglie l’essenza dei sentimenti – Carlo Carrà lo definì «un costruttore di effetti psichici». È di questo periodo il ritratto di Henri Rouart, facoltoso sostenitore degli impressionisti, presentato in mostra nelle tre versioni in gesso, bronzo e cera. La ricerca materica e interpretativa a partire da uno stesso soggetto caratterizza profondamente l’opera di Rosso, al punto che l’allestimento alla GAM è costruito seguendone l’intima evoluzione.
In Bookmaker, testimone del periodo di più stretta vicinanza con Degas, l’involucro chiuso della forma si rompe, figura e ambiente si fondono, la materia palpita. L’esito estremo lo vediamo nella terza sala della mostra: due bellissime versioni dell’Enfant Malade dialogano con Madame X, un volto di donna che un chiaroscuro quasi pittorico salva dal completo disfacimento luminoso. Proponendo una scultura che chiede di essere guardata da un solo punto di vista, senza girarci intorno, Rosso sovverte radicalmente le regole di quest’arte e pone le basi per la fusione tra pittura e scultura che caratterizzerà molte delle avanguardie novecentesche.
Il percorso dell’esposizione si conclude tra le fotografie che hanno accompagnato Medardo Rosso nell’incessante ricerca sulla materia e sulla luce. Fotografa le sue sculture – donandogli nuova vita –, ma il più delle volte rifotografa scatti di altri e ritagli di giornale, intervenendo con viraggi, ingrandimenti, collages e abrasioni. Documenti che consegnano alla storia un artista che ha saputo vedere al di là del suo tempo, verso le esperienze più ardite del Novecento.
INFORMAZIONI UTILI
MEDARDO ROSSO. La luce e la materia
A cura di Paola Zatti
GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano
18 febbraio – 31 maggio 2015