Tre settimane dopo le aste londinesi di Arte Impressionista e Moderna, è interessante fermarsi un attimo e riflettere su alcuni aspetti rilevanti, emersi con forza negli ultimi mesi. I ritmi travolgenti del mercato globale, che impongono ormai corse impossibili da Londra, a Maastricht (12 marzo), a Hong Kong (15-18 marzo) nel giro di poche settimane, invitano al consumo rapido e immediato di notizie, fatti, records. Fermarsi a riflettere è raro e quindi ancora più importante.
L’asta serale di Christie’s Londra del 4 febbraio, che era declinata in due cataloghi distinti (Arte Impressionista e Moderna e Arte del Surreale), ha ottenuto un totale di 147 milioni di sterline, il terzo risultato più alto nella storia delle aste inglesi della compagnia. Eccezionali le percentuali: 96 per cento di opere vendute, di cui 55 per cento sopra la stima.
Il fatto di vendere le aste ‘capillarmente’, un lotto per volta, in cataloghi molto curati, in cui la selezione delle opere è il risultato di un ‘labor limae’ di grande precisione da parte degli esperti, è un fenomeno recente, che merita un’analisi attenta.
Fino alla metà degli anni 2000, un’asta venduta intorno al 70 per cento era considerata indicatore di un mercato ‘sano’. Trovare compratori per il 70 per cento dei lotti era celebrato come un successo, sia dai professionisti del settore, come dai venditori.
L’enfasi era sul volume: il mandato era di presentare il maggior numero di lotti, cercare di valutarli correttamente, accettando, tuttavia, anche lotti commerciali ma dalle stime ambiziose, che spesso rimanevano invenduti. Il rischio faceva parte del gioco.
La globalizzazione del mercato, prima con l’avvento dei compratori medio-orientali e russi e recentemente con l’arrivo dei collezionisti asiatici, ha catalizzato alcuni cambiamenti interessanti.
Il mercato dei compratori potenziali è al contempo più ampio e più profondo. La domanda di opere d’arte è alle stelle, ma la demografia dei compratori è mutata. Meno ‘addetti’ ai lavori, meno mercanti, meno ‘advisors’ in sala. Certamente, i grandi mercanti internazionali sono sempre presenti, e sempre più potenti, ma devono competere contro collezionisti privati di ogni parte del globo, accaniti e informati, capaci di scegliere con lucida indipendenza, e più che mai esigenti.
La domanda è, dunque, ampia, ma intelligente.
Ciò impone che le aste siano essenziali e ‘curate’: curation è la parola del nuovo decennio, come lo è per le istituzioni museali, le Biennali, le mostre internazionali.
In un’asta che funziona, le opere, le stime, le garanzie, le sequenze dei lotti in catalogo, le immagini comparative nelle note, le destinazioni geografiche dei tours pre-asta, ogni dettaglio di questo processo deve essere studiato con disciplina. Le esigenze dei compratori sono in primo piano. Lo ‘show’ deve essere eccezionale: sia la mostra pre-asta, sia l’asta stessa. Ecco, dunque, come si spiegano le alte percentuali di venduto. Di colpo, vendere solo il 70 per cento di un’asta non basta più. Il lavoro di regia che precede la vendita è pensato per vendere un’asta al 90 per cento, addirittura 96 per cento, come tre settimane fa.
Chi sono i compratori che giustificano queste percentuali e hanno spinto i prezzi alle stelle?
Nel caso di Christie’s a Londra, un ruolo decisivo spetta agli asiatici. Chi ha assistito all’asta del 4 febbraio avrà notato il gruppo delle specialiste orientali al banco dei telefoni. Guidate dall’elegante Rebecca Wei, Presidente di Christie’s Asia, le giovani Elaine Holt, Tan Bo, Chie Banta, non hanno mai smesso di gridare ‘bid!’ (offerta) al battitore, per le due ore della vendita.
Rappresentavano compratori da tutta l’Asia: il Giappone, che torna con prepotenza alla ribalta dopo la crisi degli anni Novanta; la vecchia aristocrazia collezionistica di Hong Kong, attiva già da decenni; i magnati di Taiwan, dai gusti molto sofisticati; e i nuovi compratori Cinesi, da cui abbiamo le maggiori e più gradite sorprese.
Da un anno osserviamo che costoro, dopo essersi avvicinati all’arte occidentale attraverso l’Impressionismo, si sono fatti molto più avventurosi, sperimentali, ‘coraggiosi’. Non solo Monet e Renoir, ma anche Mirò, Schiele e soprattutto il Surrealismo.
Stiamo attenti, però: anche qui, potremmo pensare che l’attenzione si fermi a Magritte – concettuale ma anche colorato, figurativo, leggibile. Con grande piacere, invece, osserviamo che, nell’ultima asta surrealista di Christie’s, i compratori cinesi hanno puntato anche su Max Ernst – e non solo il Max Ernst dei paesaggi surrealisti, ma quello corrosivo e complesso degli anni dadaisti.
Per noi esperti è un grande successo. È il segnale di una ‘audience’ che si espande e al contempo acquista conoscenza e sicurezza, arrivando a competere con i collezionisti tradizionali su territori di caccia più impegnativi. Il processo di acquisizione di questo nuovo pubblico è, da parte di Christie’s, estremamente metodico e disciplinato.
Una squadra di esperti, da Londra e New York, accompagna le opere più importanti delle aste nelle varie tappe del tour pre-asta in Asia. Quest’anno, a gennaio, abbiamo organizzato due eventi importanti, a Taipei e Hong Kong. In queste occasioni ‘sveliamo’ ogni lotto dei nostri cataloghi ai grandi compratori locali e ai colleghi asiatici, che poi, a loro volta, entusiasticamente, li ‘rivelano’ ai loro clienti.
È una strategia di divulgazione che si sta rivelando corretta: creiamo costanti opportunità di comunicazione diretta, a livello globale, con il pubblico che sta cambiando il mercato. In questo modo, gli orizzonti dei compratori si ampliano: dagli Impressionisti a Picasso, in tutte le sue diverse fasi, e da lì alle avanguardie storiche, in un percorso emozionante e appassionante, per i clienti come per noi esperti.