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Antonio Biasiucci. Fotografia tra due estremi, l’origine e la catastrofe

Iniziamo l’intervista con alcune righe tratte da un testo che Goffredo Fofi ha scritto per “Antonio Biasiucci“, la pubblicazione che Peliti Associati ha dedicato al fotografo nel 2012, un testo che ben definisce la tensione artistica di un fotografo fuori le righe.

Antonio Biasiucci - photo Augusto De Luca
Antonio Biasiucci – photo Augusto De Luca

 

[…] La fotografia, dunque, sta in questo guado, in questa confusione di un’epoca globale e ipertecnica che ci sommerge e intontisce con immagini che sono tutto fuorché necessarie, e corrode e devia tutte le arti per scopi assai diversi dall’espressione e dalla sua libertà. Come resistere a tutto questo? Uno dei modi che le arti sembrano aver trovato, non so quanto transitoriamente, è l’ibridazione […] Un altro è la pratica di un rigore che può portare fino all’estenuazione del proprio movimento, cominciata a volte in momenti più propizi al dialogo tra arte e società. Tuttavia rispettabile, questo è anche un modo di “tirarsi fuori dal quadro”, di uscire dai condizionamenti della tradizione, di stare nel nuovo anche se il nuovo ci appare più cupo che allegro, più mortale che vitale. E’ la strada, mi pare, che Biasiucci ha scelto per attraversare la crisi, per non cedere alle mode, per restare fedele alla sua idea di arte e di fotografia. […]La natura e la storia, gli elementi e le cose, l’animale il vegetale il minerale… l’essenza, la base, la partenza e forse anche l’arrivo… Il mondo. Per scavare fino al nodo e all’origine, per ridar senso all’arte nell’instancabile perseguimento del senso.

Antonio Biasiucci è nato a Caserta e vive a Napoli. Ha all’attivo molteplici esposizioni in Italia e all’estero, premi e presenza in collezioni permanenti. La sua è una fotografia tendente all’essenza, materica, esclusivamente in bianco e nero.

A Napoli ha realizzato “LAB/per un laboratorio irregolare” con l’intento di restituire un laboratorio alla città per giovani fotografi. Un luogo che prende senso “nel trasmettere un metodo che eserciti ad una costante azione critica sul proprio lavoro”. Un laboratorio appunto che diventi lo “stimolo a solleticare le corde interne del pensiero e dell’emozione”.

Antonio Biasiucci. Serie Madri
Antonio Biasiucci. Serie Madri

Antonio Biasiucci è tra i fotografi che a Milano, a Palazzo della Ragione, tra il 21 marzo e il 21 giugno 2015, esporranno in “Italia Inside Out” a cura di Giovanna Calvenzi.

Conosciamolo un po’ più da vicino.

Che cos’è per te la fotografia?
E’ il mio strumento per eccellenza, quello che mi permette di conoscere le cose semplici e complesse della vita.

Quando hai cominciato a fotografare e quando invece è diventata un’esigenza fotografare.
Ho cominciato giovanissimo a fare fotografie. Mio padre era un fotografo di cerimonie e qualche volta lo aiutavo. Non amavo quel lavoro. Ho ripreso la fotografia a 18 anni in un momento molto difficile della mia vita. Mi accorsi che l’atto del fotografare mi faceva stare meglio. Da allora intrapresi un percorso a ritroso analizzando con la fotografia tutti quei valori e luoghi rinnegati da giovane che però appartenevano alla mia identità, un lavoro sulla memoria personale che poi nel corso degli anni è diventato una ricerca sulle origini intese in un senso universale.

Antonio Biasiucci. Serie Vapori
Antonio Biasiucci. Serie Vapori

Quali sono i passaggi, e dunque gli incontri, determinanti nello sviluppo della tua poetica “fotografica” e nel percorso che hai scelto.
Sicuramente la mia collaborazione decennale con l’Osservatorio Vesuviano è stata fondamentale. L’aver potuto lavorare sui vulcani attivi italiani con un gruppo di ricercatori vulcanologi, geofisici, e quindi la frequentazione continua col primario, col vulcano che nasconde il mistero della creazione, mi ha permesso di guardare le vicende degli uomini in un modo diverso e di aiutarmi a distinguere il fondamentale dall’effimero. Questo ha determinato anche le scelte dei soggetti che negli anni ho fotografato (sempre essenziali e appartenenti alla storia dell’uomo).
Antonio Neiwiller, regista di teatro scomparso circa 20 anni fa è stato il mio maestro di fotografia. Da lui, assistendo ai suoi Laboratori, ho assimilato quei metodi, quel rigore, che ho poi applicato alla fotografia. Il suo era un teatro che mirava dritto all’essenza delle cose, un teatro universale dove lo spettatore poteva riconoscersi e trovare una parte di sé. I lunghi tempi del Laboratorio permettevano la nascita di azioni teatrali scarne dove si fondeva il mondo interiore dell’attore e quello dell’artista al quale Neiwiller aveva dedicato lo spettacolo. Tutto quello che avevo imparato lo applicai, con la macchina fotografica, in una stalla fotografando per molto tempo 5 vacche. Da allora, per ogni mio soggetto scelto, applico quei metodi.

Antonio Biasiucci. Serie Vacche
Antonio Biasiucci. Serie Vacche

Quanto la necessità di fotografare “perché ti fa star meglio” è un buon motivo per elaborare buone fotografie, tecnicamente e progettualmente.
Lo sviluppo di una ricerca in arte non può che non essere vincolata ad una esigenza esistenziale per cui, è in questo senso che essa diventa necessaria. Sicuramente per me la fotografia è uno strumento che mi aiuta a “compensare”. Diventerebbe altrimenti difficile motivare una ossessione come quella del gesto ripetitivo dell’artista.
Lo sperimentare, cercare nuovi modi, rimettersi in discussione è il mio tentativo di tenere la “fiammella” sempre viva affinché io possa sempre ben custodire il “dono” della fotografia. Le mie sperimentazioni cercano la fotografia nel suo significato più profondo. Sono spesso installazioni dove la percezione e la luce sono protagoniste.

Hai parlato di memoria personale e di ricerca sulle origini “universali”. La poetica delle tue fotografie ne è intrisa. Ma guardando le tue fotografie si percepisce la materia, il materico…
E’ vero, sono materiche le mie foto. Io non ho questa percezione, non direi mai che faccio delle fotografie materiche probabilmente perché non riesco a immaginare fotografie che esulano del tutto dalla materia. E’ come se io volessi dire che qualsiasi mio atto fotografico non può prescindere da come è fatta materia del soggetto. Questo punto di vista mi permette di avvicinarmi ad un unicum, un assoluto. Spesso tra i vari miei soggetti si creano delle forti vicinanze.

Non parli mai di tecnica né di uso di tipologie di macchine fotografiche, di formati etc. E’ una scelta tanto quanto il bianco e nero?
Conosco la tecnica che mi è utile volta per volta per fare le mie fotografie. La tecnica si può sempre assimilare. Fotografo da sempre in bianco nero e non riuscirei ad immaginarmi a colori. Oramai inevitabilmente associo quei colori ai soggetti che sto per fotografare. Sento che ho molto da scoprire ancora a proposito e non so fotografare a colori. Però, in verità, sono molti i fotografi che usano il colore che mi piacciono.

Quanto desideri che la tua fotografia arrivi a tutti e quanto incide questo nel tuo fare fotografia.
Per un artista riuscire a comunicare un proprio mondo è importante. Sicuramente il mio fare fotografia ha dei momenti anche complessi, a volte ostici, ma la mia speranza è che quello che faccio abbia una comprensione, restituisca una emozione. Considero buona una mia opera, quando essa, alla fine di tutto il mio processo laboratoriale, dove circoscrivo e ripetutamente rifotografo lo stesso soggetto affinché diventi scarno ed essenziale, si allontana da me e si avvicina all’altro, il quale nel guardarla vi ci ritrova una parte di sé, solo di sé.

Antonio Biasiucci. Serie Pani
Antonio Biasiucci. Serie Pani

A cosa stai lavorando e quali sono i prossimi appuntamenti con la tua fotografia.
Tutte le mie ricerche sono dei tomi che trattano tematiche che oscillano tra due estremi: l’origine e la catastrofe. Il tentativo, anzi la mia utopia, è quello di riscrivere la storia degli uomini considerando soggetti a lui fondamentali ed essenziali. Per cui ciò che scelgo di fotografare ha una grossa importanza e non sono mai un pretesto: “Magma” è un lavoro sul mistero della creazione che il vulcano nasconde; ” Vacche” una ricerca sulla nature delle cose dove è protagonista un animale che ha procurato agli uomini nutrimento, economie, religioni; “Pani/Volti” una riflessione con la fotografia sulla vita che comprende la morte. Tutti i soggetti da me trattati vanno in questa direzione. E’ questo il mio ambizioso progetto che richiederà tempi lunghi di realizzazione.

www.antoniobiasiucci.it

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