Polveri grigie di città rarefatte, impalpabili perché in movimento, perché migranti. Notti luminescenti che squarciano l’oscurità e ombre profonde che sovrastano il giorno. Il segreto, come un arcano alchemico che si lascia intravedere solo a metà, è la luce: luce che compone le figure, luce che tratteggia i contorni, luce che brucia lo sguardo in un’atmosfera continua di aurora borealis e di crepuscolo traslucido, in una miscela primordiale che risulta inesauribile.
È il crepuscolo, soprattutto. Una tensione ideale – una Sehnsucht direbbero i tedeschi – che, se non trae la propria scaturigine da nodi irrisolti, è mossa da un effluvio nostalgico, da un anelito all’infinito, da un soffio d’eternità. Il crepuscolo dura solo poco istanti: prima è ancora tramonto, dopo è già notte. Ci vuole pazienza per poterlo catturare nell’aurea gabbia del colore.
Si esprime così la pittura di Ernesto Morales, giovane artista argentino, nato però nella Montevideo capitale dell’Uruguay, che da qualche anno ha eletto come sua residenza l’italiana Torino con la sua vita culturale, gli orizzonti protesi alle Alpi e gli ampi spazi del suo atelier che è studio e fucina di creazione.
L’aspetto peculiare dei suoi lavori, rigorosamente eseguiti a olio, su tele di grandi dimensioni, è la monocromia dentro la quale la luce, in un prestigio di creazione, riverbera soluzioni che saremmo pronti a scommettere siano policrome, propagando il colore fino ai profili della tela, nel netto rifiuto di costrizioni spaziali.
Ha aperto al pubblico lo scorso 18 febbraio e sarà ancora disponibile fino al 3 aprile, “Astrolabio in viaggio”, la personale milanese dedicata all’artista, ospitata e curata da Andrea Ingenito mentre si è inaugurata pochi giorni fa la grande mostra torinese “Il giorno come la notte”, dislocata nella splendida location di Casa Toesca a Rivarolo Canavese, dove sarà possibile ammirare fino al 10 maggio l’ultimo ciclo di Morales costituito da galassie e rose, per la curatela di Karin Raisovà.
Morales, col suo stile, mette tutti d’accordo: per mezzo di una figurazione che si fa evanescente è capace di dare riferimenti strutturali e allo stesso tempo di dissolverli, così l’amante del figurativo legge i suoi lavori attraverso gli stilemi figurativi e, a sua volta, il sostenitore dell’astratto li recepisce quale fonte di astrazione. Troppo semplicistico sarebbe piegarsi alla dicotomia e, infatti, l’universalismo linguistico di Morales non si ferma qui, perché mentre offre qualcosa di nuovo e originale – soddisfando i più intransigenti “negazionisti” della secolare tradizione pittorica che si fanno scudo con uno spasmodico inno alla novità – non rinuncia alle citazioni dotte di un illustre passato artistico. Che siano riferimenti voluti o, è più probabile, sostrati istintuali partecipi di un inconscio collettivo di junghiana memoria, nelle tele di Morales si ritrovano le notti londinesi di John Atkinson Grimshaw, le brume germaniche di Ernst Ferdinand Oehme, gli alberi del magiaro József Rippl-Rónai.
Non rinnega nulla, pertanto, l’artista argentino che non ha bisogno di creare una frattura coi paesaggisti ottocenteschi, i “surrealisti” medievali e la pittura metafisica del Novecento per produrre suggestioni inedite e personalissime. I contemporaneisti estremisti quindi, insieme agli estimatori della pittura dei secoli scorsi, si trovano sorprendentemente concordi nel decretare il successo del creativo che viene dall’altra parte del mondo.
E se è vero che l’arte è in qualche modo l’espressione più autentica dell’anima che le ha dato vita, sicuramente all’affermazione del talentuoso bonariense contribuisce pure la sua personalità. In un mondo sempre più popolato da uomini narcisisti, da protagonisti dell’allarmante svuotamento semantico generale e da poeti maledetti emblemi di tanti eccessi e poca poesia, il giovane Ernesto contrappone educazione impeccabile, umiltà professionale, riservatezza per la sfera privata, aspetti caratteriali coniugati a un’ottima preparazione culturale e a una spiccata sensibilità intellettuale. Inneggiando alla poesia di Rilke, ritrovandosi accartocciato sulla lingua un pensiero di Borges, attento all’esoterismo di un Goethe e del suo Faust, strizzando l’occhio al tardo Medioevo di Bosch, Morales vanta nel suo curriculum un dottorato in Arti Visive, esperienze di insegnamento accademico e la direzione dell’Accademia di Belle Arti della provincia di Buenos Aires.
A una ricchezza di interessi non poteva che corrispondere una ricchezza di produzione e nonostante la giovane età – classe 1974 – Morales nella sua carriera artistica annovera già periodi molto differenti. Dalle fumose architetture urbane fagocitate da una nebbia diurna abbacinante, passando per le misteriose e inquietanti visioni del bosco, sino agli sgargianti paesaggi puntellati da bovini (un esplicito tributo alla sua terra, all’Argentina) per approdare alle notti di luce di galassie ricamate di stelle, di universi immensi e paciosi sotto ai quali si colgono talvolta le lievi reminescenze telluriche di strade infinite che spariscono sotto la volta ultra-uranica. Ma la ricerca non finisce qui e le barriere tra dimensioni parallele si infrangono, i veti tra elementi si sgretolano sotto il pennello meta-cosmico dell’artista e, man mano, in questi oceani astrali fluttuano animali marini o sbocciano rose di luce con petali di luna. Guardando le sue tele non si può soffocare il desiderio di scoprire cosa sarà domani, cosa farà domani Ernesto Morales.
Ed è subito sera.
MOSTRE IN CORSO:
Astrolabio da viaggio: fino a 3 aprile 2015 presso AICA Andrea Ingenito Contemporary Art, via Massimiano 25 Milano (martedì-sabato 15/19)
“Il giorno come la notte”: fino al 10 maggio 2015 presso Casa Toesca – Area Creativa 42, via Ivrea 42 Rivarolo Canavese, Torino (venerdì, sabato, domenica 15.30/19 o su appuntamento)