Tra paventata censura, censura, libertà di espressione, libertà assoluta, dissacrazione si è giocata una recente partita di arte contemporanea a Barcellona. I fatti sono abbastanza noti per la solita ridda di commenti che la notizia ha suscitato, corredata da gustoso apparato iconografico.
Per la mostra al Museo d’arte contemporanea del capoluogo catalano, il MAcba, dal titolo la Bestia e il sovrano, in ricordo delle riflessioni politiche di Jacques Derridà, l’artista austriaca Ines Doujak (in collaborazione con l’artista britannico John Barker) ha presentato una scultura che rappresenta la scena di una tripla sodomizzazione: un pastore tedesco sodomizza la leader femminista boliviana Domitila Barrios de Chúngara (scomparsa nel 2012) e questa, a sua volta, sodomizza l’ex Re di Spagna Juan Carlos I, che compare a quattro zampe nell’atto di sputare un mazzo di fiori su un tappeto di caschetti delle SS.
Il direttore del Macba (di cui tanto per dire la Regina Sofia è presidente onorario), Bartomeu Mari, ancor prima dell’apertura, ha chiesto di espungere l’opera pena l’annullamento della mostra, suscitando però riprovazione internazionale, nonché il fermo rifiuto dei curatori. Ci ha ripensato, pare, spinto dal parere positivo che è gli è giunto “da molti settori della società, del mondo dell’arte, della cultura, della politica e dei media”. Ha dunque aperto l’esposizione e poi ha presentato le dimissioni, probabilmente sull’onda del clamore e spinto dalla vergogna di aver potuto anche solo lontanamente pensare di censurare un’artista del calibro della Doujak.
L’artista, o chi per lei, ha ricordato che la valenza del suo lavoro in genere, e di questa opera in particolare, sta nel rappresentare e sovvertire i rapporti di forza tra potere e popolo; non a caso da sempre si occupa di un complesso progetto che analizza i lasciti nefasti della colonizzazione e del nuovo colonialismo, lo svuotamento delle culture autoctone dei popoli del sud del mondo ad opera dei paesi industrializzati.
Ma a parte le iperboli dei vari critici a supporto, e la patente similitudine con simili deiezioni, davvero questa tripla sodomizzazione è così foriera di senso? Davvero è così illuminante e sovversiva? Davvero l’arte, anche nella sua propensione più ideologica di essere strumento di battaglia politica, ha bisogno di usare questo tipo di metafore, in cui la disperazione prevale su ogni altra formula? Davvero la libertà dell’artista deve spingersi fino al limite estremo dell’insensato, del cattivo gusto, così tanto per stupire i borghesi che non esistono più? Davvero è vietato criticare questa libertà nel nome delle altre libertà, o della bellezza, pena l’esclusione dal gruppo degli intelligenti? Davvero l’artista è come Dio a cui tutto è permesso? Davvero qualsiasi cosa esso produca, merda compresa, va preso per arte senza il minimo dubbio, anzi con degli oooohhhhhh di approvazione?