Due attori e infiniti personaggi. Brevi sketch e molteplici cambi d’abito per un ripetersi inesorabile di rituali di violenza e autodistruzione. E’ il nuovo progetto di Elena Russo Arman, andato in scena all’Teatro Elfo Puccini dal 6 al 29 marzo scorso: “La Palestra della Felicità“.
Sul palcoscenico Elena Russo Arman e Cristian Giammarini danno voci e volti ai numerosi personaggi scritti da Valentina Diana, scrittrice e drammaturga emergente (in libreria con Smamma, Einaudi). Non hanno nomi, non conosciamo le loro storie. Sono semplicemente A e B, un uomo e una donna o talvolta animali.
Da voyeur entriamo nelle loro case e assistiamo ad attimi della loro vita, ridiamo degli stereotipi che portano in scena: i logorroici, i taciturni, i molesti, gli apatici, gli affettuosi. Personaggi diversi, ma tutti intenti a rincorrere una felicità che non conoscono e che non sanno come e dove cercare. Al punto che, sopraffatti dagli eventi e dimenticandosi del fine ultimo, scaricano la loro infelicità sull’altro. E un omicidio chiude ogni scena.
Come in un videogame, la vita sembra essere un gioco nel quale chi assorda o ostacola l’altro, viene da questi eliminato. Basta un’arma giocattolo per togliersi il pensiero. Scena dopo scena le violenze si accumulano e dove spara la pistola, le luci si abbassano. Gli attori si muovono di soppiatto alla volta di un nuovo costume e di una nuova parrucca: nuovi personaggi rinascono e lo spettacolo ricomincia, destinato a ripetersi nel suo rituale di autodistruzione.
Il copione scorre senza una vera trama, lasciando lo spettatore quasi sperduto nel succedersi di vicende paradossali e morti spesso ridicole, surrealisticamente commentate da due teiere parlanti, ma al contempo affascinato dalla bravura della Arman e di Giammarini nell’entrare e uscire, tanto velocemente dai panni di personaggi così diversi tra loro. Fino a quando trova soddisfazione quella che sembra un’attesa beckettiana di una conclusione che stenta ad arrivare. Al centro del palco, l’uno davanti all’altro, i due personaggi a gran voce, con gesti robotici e voci metalliche denunciano la violenza nel mondo. L’uso delle armi per difendersi dall’uso delle armi altrui. Alla ricerca di una felicità e di una libertà che non sarà la violenza a far raggiungere.
Un altro cambio d’abito. L’ultimo. Con due maschere in testa Arman e Giammarini tornano nei panni delle scimmie che hanno aperto lo spettacolo. Un richiamo al principio della storia e al mondo animale, in un silenzio nostalgico che invita a riflettere sul futuro di mondo che va alla deriva.
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