Dal letame nascono i fiori. E un Museo! E che museo. La merda nelle sue infinite sfaccettature, sfumature, creazioni e alchemiche trasformazioni si mette in mostra. A Castelbosco in provincia di Piacenza nasce il Museo della Merda. I 2500 artisti bovini dell’azienda agricola del posto, sulla scia del Piero nazionale Manzoni, hanno concesso le loro creazioni quotidiane alla cultura. Una generosa “boasa” (come si dice a Bèrghem quando è immensa e di vacca) alla conoscenza. Dalla gestione quotidiana dei capi, della loro produzione (latte per il Grana Padano) e delle loro produzioni (banalissima merda padana) è sorta la necessità di trasformare l’azienda stessa (diretta da Gianantonio Locatelli, l’ideologo e ideatore) in un progetto ecologico e industriale avveniristico.
Le infinite vie della merda. Sacro stronzo mutevole. In vetrina col cartellino. All’interno di un castelletto limitrofo all’azienda ecco alternarsi scarabei stercorari (divini per gli egizi) a reperti, manufatti e opere d’arte di interesse estetico e scientifico. Opere storico-letterarie (come la Naturalis Historia di Plinio, colma di digressioni sull’argomento), accanto alle ricerche scientifiche più attuali e alla creazione artistica che tocca l’uso e riuso di scarti e rifiuti. Un gabinetto di curiosità contemporaneo che trova il suo unitario principio guida nella scienza e nell’arte della trasformazione. Oggi, infatti, oltre a tramutare la merda in arte (e in arte la merda), dallo sterco viene ricavato metano, concime per i campi, materia grezza per intonaco e mattoni attraverso sistemi di nuova concezione. Questi oltre a ridurre l’inquinamento atmosferico e la distribuzione di nitrati nel terreno (potenzialmente assai nocivi per la salute), seguono un principio che ridisegna il ciclo della natura in un circolo virtuoso, restituendo ad agricoltura e allevamento l’importanza di sempre. Cerchio che si chiude con un fiocchetto marrone: eccolo allora il Museo della Merda dove tutto è chiarito ed illustrato: un laboratorio ecologico, una macchina fertilizzante, una centrale energetica e di idee, in linea alle tematiche promosse e promesse (sperèm) da Expo 2015. Che la merda sia con voi, sperando che l’articolo non faccia cagare.
MUSEALIZZARE LA MERDA
di Luca CipellettiMuseo della Merda, definizione volutamente provocatoria, ma sostanzialmente esplicativa per comprendere l’idea di un grande progetto che unisce tradizione e innovazione, arte e tecnologia e che giustifica la nascita di un Museo.
Castelbosco, l’azienda agricola di Gianantonio Locatelli, è un luogo di interesse, di innovazione e ricerca, un’esperienza da condividere: un Museo.
L’intuizione di Locatelli di riutilizzare gli scarti organici della sua azienda agricola per produrre metano e materia per mattoni e intonaco, ha portato alla realizzazione di un progetto ecologico d’avanguardia.
L’idea di riutilizzo è sempre stata connaturata con il mondo agricolo, in questo caso il letame si trasforma in altro e produce innovazione; qui la merda è un materiale prezioso, su cui costruire informazione e intrattenimento culturale, il tema centrale e la materia da cui il nome del Museo.
Nasce una nuova idea di Museo in cui ricerca scientifica, tecnologia, arte e produzione si fondono per stimolare interesse a più livelli: Castelbosco risulta un luogo di stimolo per chi è interessato alla produzione agroalimentare, alla storia, all’arte o ai temi dell’ecologia.
Il Museo parte all’esterno, nell’azienda agricola e qui, a supportare il valore del progetto, l’intervento di artisti come David Tremlett e Anne e Patrick Poirier, coordina lo spazio, stimola riflessioni e amplifica la visione concettuale, metaforica e produttiva che è alla base dell’azienda di Castelbosco.
Il piano terreno del Castello, ristrutturato con interventi conservativi, essenzialmente strutturali, ospita una parte del Museo in cui vengono esposti materiali e installazioni concettuali che introducono concretamente all’utilizzo e al valore dello sterco – gli espositori, le tubature lasciate a vista del riscaldamento generato dalla produzione di metano, i materiali da costruzione come l’intonaco e i mattoni.
Centrali, anche per l’allestimento, sono i temi del riuso e della stratificazione: accanto allo sterco, costantemente riutilizzato ed inserito in un processo di vita ciclico che conferisce poeticità alla materia, oggetti di scarto e riciclati come le originali porte del castello, gli strumenti di lavoro delle campagne, iPad e iMac di vecchia generazione, diventano supporti espositivi, trasformati nel significato o nella loro funzione originaria. Gli espositori in ferro, parzialmente rivestiti in sterco, si pongono in continuità con tutti gli interventi strutturali e diventano parte integrante dell’ambiente, una stratificazione materica e volumetrica che deriva e si nutre del suo contesto.
Il Museo della Merda cresce in tre dimensioni: non solo un luogo fisico da visitare ma anche uno spazio virtuale ed una realtà in movimento. I contenuti del Museo sono caricati su una piattaforma online, un sito web che permette un’interazione diretta e allargata con il pubblico e l’aggiornamento costante delle attività, dei progetti e delle iniziative.
Allo stesso modo il Museo è itinerante e mostra come sia possibile una terza dimensione, quella di un Museo diffuso: cresce grazie alla condivisione dei propri contenuti con realtà simili, grazie al confronto con altre persone curiose, con le quali fare progetti, poter lavorare; ne derivano collaborazioni attive con istituzioni museali, pubbliche e private, università, archivi e centri di ricerca.
Nel panorama museale contemporaneo questa realtà si pone come una variante multidisciplinare e per questo significativa.
Cinquanta sfumature di marrone. Ecco il Museo della Merda. Un gabinetto di curiosità
INFORMAZIONI UTILI
Museo della Merda / The Shit Museum
Castelbosco (Piacenza)
dal 27 aprile 2015
Ahahah magnifico. Da condividere e diffonderne il profumo