ILIOKATAKINIOMUMASTILOPSARODIMAKOPIOTITA
Iliokatakiniomumastilopsarodimakopiotita non vuol dire nulla.
Solo il suono della parola stordente, martellante e complicato, ricalca l’esperienza senza preannunciarla.
Nessun significato è stato intenzionalmente associato al titolo della mostra, che nasce come “scioglilingua musicale” tramite l’accorpamento di diversi termini greci, al fine di eludere qualsiasi chiave di lettura prestabilita e lasciare che l’esperienza diretta del visitatore si imponga sulla ricezione delle opere.
Micol Assaël espone infatti cinque installazioni disposte appositamente per gli spazi milanesi di HangarBicocca, per ricreare una “sala macchine pulsante di una nave”.
Cinque ambienti chiusi, cinque mondi custoditi da misteriose corazze – stanze, celle o containers – che contengono diversi ambienti angusti, impervi o fuori dal tempo.
L’artista greca porta come elementi centrali della sua ricerca i fenomeni fisici, il magnetismo, l’ingegneria elettrica, così come la loro interazione con il corpo umano. La percezione sensoriale, soprattutto quella dello spettatore, è infatti una componente fondamentale per l’artista: le sue installazioni, tanto radicali quanto poetiche, influenzano fisicamente e mentalmente lo spettatore, mettendolo spesso in una posizione di pericolo reale o supposto.
Il percorso si apre con “432Hz”, la frequenza della pace interiore, della meditazione. La ricerca sulle relazioni tra arte, musica e percezione, e ulteriormente approfondita ed estesa al confronto con la natura e il mondo animale. L’opera è formata da una serie di telai ambrati, profumati, disposti sulle pareti in legno. Ogni telaio contiene un disegno in cera retroilluminato e una traccia audio che riproduce la vibrazione emessa dalle api in lavorazione sulla frequenza dei suoni della natura.
Con uno strappo emotivo e fisico, si passa all’impressionante “Vorkuta”, nome di un’antica città nei pressi di uno dei gulag più duri della Russia, caratterizzata da un clima rigido e ostile ed una storia altrettanto dolorosa, è una delle prime opere in cui l’artista indaga i fenomeni fisici ed elettrici. L’opera è una vera e propria cella frigorifera elettrizzata mantenuta a -30°C. Riproduce la memoria di un viaggio compiuto dall’artista in Siberia: con un quadro elettrico e una sedia di pelle sgualcita, il suono e il bagliore di piccole scosse elettriche, la cella si presenta come un ufficio abbandonato, stretto da strumentazioni obsolete e pericolose.
Si passa dalla concentrazione al caos con “Senza Titolo” 2003, una stanza di circa 5×5 metri realizzata interamente in ferro, dove all’interno si trovano un tavolo, un letto e un armadio insieme a un groviglio di cavi elettrici. L’ambiente è attraversato da violente correnti di aria calda e fredda, come linee di tensione, convogliate nello spazio da potenti ventilatori che rendono lo spazio ostile e pericoloso. Poggiati sul tavolo, dieci trasformatori elettrici spigionano energia fino a 9.000 Volts, alimentando le lampadine collocate sotto i mobili sospesi e provocando scintille ad alta tensione.Con “Sub” l’artista recupera dei lastroni di vetro di sue opere precedenti che ricombina in una struttura geometrica trasparente. Il pubblico si immerge in una bolla silenziosa e, con un focus sempre più minuto e un’attenzione sempre più vibrante, assisterà al fenomeno della nascita di cariche elettrostatiche prodotte da un generatore Kelvin, un dispositivo che utilizza gocce d’acqua in caduta per generare differenze di tensione per induzione elettrostatica che si verificano tra i sistemi interconnessi di carica opposta.
Infine “Mindfall”, costituita da un container di recupero con una sedia e dei tavoli, su cui sono disposti ventun motori elettrici collegati a sistema chiuso. Entrando nell’installazione l’odore acre e i materiali usurati e unti danno l’impressione di avere a che fare con un macchina fatiscente. I motori, recuperati dall’artista in un impianto di riciclaggio, sono collegati tra loro da un sistema di pompaggio di benzina, accesi in modo intermittente.
Andrea Lissoni, curatore della mostra, racconta per atpdiary.com dell’artista e dei suoi lavori: “Micol è molto duchampiana, nel senso che si pone umanamente il problema teorico di capire che cosa accade nel passaggio tra l’idea e l’opera. Come un’idea, una forma di percezione, una forma di sensazione prende l’aspetto di un’opera. E’ evidente che lei lavora a partire da un’idea. Duchampiana perché le interessa l’aspetto della dimensione spaziale, delle pluridimensioni che circondano l’opera, dell’aria, delle atmosfere, della percezione del corpo nello spazio… le interessa indagare come rappresentare il ‘proprio spazio’ in modo alterato. Per fare questo passaggio, inevitabilmente lavora in un confronto strettissimo con esperti che sono persone effettivamente funzionali. Dei sperimentatori ‘utili’ alla realizzazione di quell’idea. E’ molto sincera perché non rivendica queste relazioni, non ne fa una pratica .. non sfrutta questi rapporti per far ostentare la sua pratica artistica come relazionale. Ma lavora in stretto contatto con ingegneri, musicisti, esperti in particolari settori e sono sempre accreditati e non sono la parte nascosta del suo lavoro, anzi sono parte fondamentale della sua ricerca.”
INFORMAZIONI UTILI
Via Chiese 2, Milano
Giovedì/Domenica 11.00 – 23.00
Ingresso libero, preferibile prenotazione