Quella di Cesare Corte è la storia di un artista “eretico” nella Genova del 1600. Fu figlio del pittore ed alchimista veneziano, d’origine pavese, Valerio Corte e della nobildonna Ottavia Sofia, della quale si ignora però il casato. Educato in matematica ed in lettere dal padre ed in architettura militare da uno zio materno. Corte fu istruito nell’arte della pittura sia dal padre che probabilmente da Luca Cambiaso (delle cui opere il padre fu anche “mercante”).
Nei primi anni della sua carriera il Corte viaggio molto, fu in Francia ed in Inghilterra, dove lavorò alla corte di Elisabetta I che apprezzò molto la sua arte, tanto da cercare di trattenerlo a Londra. Protetto dal mecenate Alberico I Cybo-Malaspina, poté lavorare grazie alla sua intermediazione per il conte di Tirolo Ferdinando d’Asburgo. Sempre tramite i buoni uffici di Cybo-Malaspina, il Corte lavorò come architetto militare per Ferdinando I de’ Medici, Granduca di Toscana.
A Firenze conobbe e divenne amico di Giovanni Battista Paggi, genovese anch’egli, esiliato nel capoluogo toscano per debiti e forse un fatto di sangue. Lasciata la Toscana, tornò nella natia Genova, ove continuò l’attività di pittore, facendosi notare per alcuni soggetti fuori dai canoni, come una rappresentazione, omaggiata dal Chiabrera con un sonetto, dei lussuriosi del quinto canto dell’Inferno di Dante realizzata per Filippo Pallavicino. Fu probabilmente tra i maestri dello Strozzi. Fece da insegnante nell’arte della pittura anche per il figlio Davide e per il Borzone.
Dopo un suo commento palesemente eretico all’Apocalisse venne denunciato all’Inquisizione, ed in seguito, il 30 dicembre 1612, fu imprigionato. Costretto ad abiurare in pubblico l’11 agosto 1613 e condannato al carcere perpetuo il C. sopravvisse per diversi anni in prigione. La sua morte va spostata ad una data successiva al dicembre 1619, quando al pittore, ad evidenza ancora in vita, venne concessa una sistemazione all’interno del carcere tale da permettere l’esercizio dell’arte della pittura.
Cosi racconta il Soprani nelle sue “Vite de pittori, scoltori et architetti genovesi” – Genova 1674:
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