La vera miseria dell’uomo non consiste nel male che puó fare ma nel male che vuole evitare di vedere.
L’uomo misero non é quello malato di malaria o colera, ridotto ad un tronco avvizzito in fuga verso un Eden inesistente; l’uomo misero é colui che permette che tutto questo accada senza dire nulla.
Cerco un film.
Disperatamente.
In streaming perché la televesione giace impolverata in cantina da ormai quattro anni.
Dopo i primi due dieci minuti di film son quasi disperato.
Trovare oggi un buon film equivale a trovare oggi una buona canzone o un buon libro.
La lettura di un libro non é mai per me qualcosa di neutro.
Puó essere bellissimo o estremamente orrendo dipendendo da quello che mi trovo tra le mani.
Mi viene in mente la scuola, quando ti obbligavano a leggere qualcosa che proprio non ti andava ed il tempo si dilatava infinitamente.
Mi distraevo di continuo perdendo inequivocabilmente il filo.
Ho sempre pensato che questo tentativo costante di evasione dal compito dato fosse un sistema di autodifesa del cervello.
Ma all’epoca il senso del dovere aveva sempre il sopravvento.
Ora i libri che mi fanno questo effetto finiscono direttamente nella spazzatura prima che possano inquinare il mio pensiero o quello di altri sottraendo energia vitale.
E spesso provo rabbia.
Con i film succede lo stesso.
Ma dopo troppi anni di scuola ho imparato a difendermi (passo laterale sinistro, gancio al corpo sinistro, diretto destro, crocet sinistro,ancora passetto a sinistra e low kick destro: generalmente funziona).
E poi appare il nome di Wim Wenders.
Son dubbioso.
Per me Wim Wenders é “Il cielo sopra Berlino”, un film che ho visto un milione di volte e su cui ho sognato tanto. Mi ricordo ancora una sera a casa di un amico in zona Dergano, distesi sul pavimento a guardare questo film.
Sognavo.
Berlino.
Quella Berlino in bianco e nero che ho fatto in tempo a vedere nella sua ultima sgualcitura prima che si trasformasse nella cittá vintage degli hispter qual’é ora.
Quando ancora essere artista non era mainstream. Se non sei artista a Berlino oggi sei un animale raro.
Wim Wenders é “The Million Dollar Hotel”, un soggetto surreale di Bono, una Milla Jovovich da urlo… Sexy al punto di lasciarti totalmente indifeso. davanti a tanto fascino puoi solo arrenderti.
Ma poi ci provo.
Clicco la freccetta che punta verso destra.
C’é una immagine subito all’inizio dove Wenders ritrae Salgado.
Ma non la prima all’interno di questo paesaggio immenso. Una che segue dove Salgado viene ritratto interamente, dal basso, con delle grosse nuvole che gli fanno da sfondo. Bianche e voluttuose.
E mi dico che questa immagine vale il film.
Ma no. Questo film vale molto di piú.
Si incrociano scariche di storia biografica a cannonate di immagini: le foto di Salgado.
Bianco e nero. Pure.
Sorrido pensando ad un amico fotografo che giusto una settimana fa mi diceva che il B/N non ha senso perché la vita é a colori. Ed io pensavo, storcendo il naso (ma di nascosto), che l’arte non ha regole e se ne fotte delle idee.
E poi ancora (diceva) che l’analogico non ha senso dato che il digitale é di miglior qualitá. Ed io pensavo che un fotografo fa grandi foto anche con una scatola di cartone ed una lente presa da un caleidoscopio trovato nel sacchetto delle patatine.
Miroslav Tichy: vorrei poter far un solo quadro come lui ha fatto quelle foto.
Vedo gli scatti di Salgado in analogico e poi in digitale e ne ho l’assoluta certezza.
E poi arrivano le immagini che ritraggono la disperazione umana. Distruzione, desolazione, rovina, orrore.
Odio. Tanto odio.
Denso, strutturato, sordo.
Dappertutto.
In Africa come Europa.
Un’Europa che seppure fosse “evoluta” ha permesso disastri pari o peggiori a paesi del terzo mondo come l’Etiopia o il Ruanda.
E questa volta sto solo riportando le parole di un altro.
Non ricordo ora quanti milioni di morti al giorno.
E non riesco a smettere di pensare alla news liofilizzata di Yahoo che ho letto ieri dal titolo “Quando i cani azzannano i bambini”.
Un elenco impattante che conta 29 casi nell’arco di un anno.
A colpo d’occhio quell’elenco impressiona.
Ma provando a leggere mi rendo conto che solo 18 di questi casi son relativi a bambini, gli altri a uomini adulti o ragazzi.
L’Unicef nel 2010 pubblicava che ogni giorno per FAME muiono 28.000 bambini e secondo le informazioni raccolte da Meredith F. Small (Our babies, ourselves) ne muore uno cada 6 secondi. Non mi interessa contrastare la correttezza di questi dati, i numeri son folli in qualsiasi caso.
Ma per Yahoo&Co. é meglio informare dei cani aggressivi e dei 18 casi per farne un problema sociale.
Cosí che possiamo tutti inorridirci.
Tutti assieme. Una buona comunitá di esseri pacifici e civilizzati che lotta contro ai possibili orrori che circondano la nostra esistenza.
Perché dover affrontare l’argomento FAME (avete mai letto cosa significa morire di fame?) ci obbligherebbe a guardarci allo specchio troppo a lungo.
Correre il rischio di vedere che siamo noi “La bella gente”, quella di Ivano di Matteo per intenderci (2009).
Ma a noi bastano piccoli drammi… per sentire che siamo ancora vivi.
E poi di colpo il documentario si apre.
Le foto cambiano.
Succede qualcosa di grandioso: la natura diventa monumento.
Si susseguono immagini relative a diversi progetti.
Il comun denominatore é il ritorno alla terra.
Quella stessa terra di cui tanto ho parlato con Bigas. Mettere le mani nella terra per sentirla pulsare.
Di colpo mi ritorna in mente con prepotenza il suo volto. I suoi abbracci, il suo amore per la vita.
Mi manca. Mi manca poter parlare con lui. Avremmo sicuramente passato ore a parlare di questo film.
E Salgado con i suoi occhi brillanti adesso mi sembra un po’ come lui.
Con quella stessa apertura verso l’universo.
Con la generositá di chi sa che dare tutto é l’unico modo per esistere totalmente.
Bigas dava tutto, senza timore, paura o gelosia. Regalava perché in quel regalo era racchiuso il senso della sua esistenza.
Quando diceva che il futuro é nella terra; che la salvezza e tornare ad amarla. Che una nazione che non ha cura della sua terra é una nazione morta.
E che chi non rispetta la terra e la natura non puó amare nulla.
Sogno Bigas con Samuel fra le braccia e mi sento sereno.
Era radicale con amore.
Amo le posizioni radicali. Salgado é radicale.
I toni medi son dei deboli. Del compromesso. Delle persone che confondono (o scelgono di confondere) il bene con l’interesse momentaneo.
Che si dimenticano che l’unico e vero interesse é questo bene fondamentale.
Inteso in prospettiva: storia ed eternitá delle azioni compiute.
E mentre penso a questo Samuel smette di piangere.
Lo guardo e penso che devo portarlo a vedere com’é grande il mondo.
Lo guardo e penso che devo portarlo a vedere le balene in Argentina, i cieli africani e la savana della Tanzania, i deserti australiani e gli orsi bianchi.
Perché solo nel riflesso di questa immensitá si puó capire il senso dell’uomo.
E poi l’idea geniale di Lelia, la moglie di Salgado (ci son donne che possono dar senso all’intero universo…).
Riportare la natura dove era sparita, ridare vita alla foresta.
Automaticamente penso che sia impossibile. Ed invece accade.
Un miracolo che dimostra solo che tutti potremmo esserne parte.
Solo se volessimo.
Solo se per un istante pensassimo a noi stessi come parte di una storia piú grande. Un ingranaggio fondamentale affinché la storia dell’uomo e del mondo possa continuare ed essere.
Essere fondamentali. Seppur la nostra vita sia solo un puntino luminoso perso in un oceano di stelle.
Eppure necessari.
La grandezza dell’essere umano risiede nel suo potenziale infinito. Ogni uomo puó cambiare il mondo.
Confesso che a me le foto di Salgado non son mai piaciute particolarmente. E tutt’ora non riesco ad amarle.
Le guardo e anche se vorrei con tutto il cuore riuscirci non posso.
Son attratto solo da quelle poche foto in cui la machina fotografica sembra impazzire. Giusto quando l’immagine si annulla nei toni cosí da superare il limite strutturale della rapprentazione. Giusto nell’istante in cui il soggetto si perde nelle ombre e nelle luci e diventa se non illeggibile quanto meno secondario.
Salgado é sicuramente un grande fotografo.
Ma per me rimane nel campo della narrazione. Vedo storie interessantissime ed importantissime che tutti dovremmo conoscere.
Ma non mi trascina oltre.
Queste, ovviamente, possono anche solo essere opinioni o gusti. E posso sbagliarmi.
E nonostante i miei gusti o opinioni “Il sale della terra” ritrae ed é opera di due grandi artisti la grandezza non risiede semplicemente nell’aver fatto grandi opere; la grandezza di Salgado e Wenders é aver voluto trasmettere tutto il loro sapere all’umanitá in maniera che quest’ultima potesse ricevere il testimone per poi portarlo al traguardo sucessivo.
Quello stesso testimone che, ad un certo punto nella storia recente, non ha trovato piú il corridore che lo portasse avanti.
Ci son state generazioni che non hanno passato la conoscenza per intero. L’han passata a pezzi, sempre mancante di qualcosa cosí che fosse funzionale ad un disegno altro.
Un impoverimento umano ed intellettuale.
Questo ha fatto in modo che l’informazione ed il sapere fossero strumento di pochi e che questi pochi bene o male controllassero i restanti. Un potere che brama solo chi non ha piú nulla e nessuno d’amare.
Wenders e Salgado invertono il flusso di questa corrente degenerativa.
La loro grandezzza risiede in quell’atto di generositá estrema di donare e donarsi al mondo perché quest’ultimo possa essere migliore.
Il Sale della terra é l’essere umano.
“Voi siete il sale della terra” (Mt. 5,13).
Affinché l’uomo possa tornare ad essere principe di questa grandezza.
Guardo Samuel e so che é proprio questo il testimone che cercheró di consegnargli.
Ora capisco quell’uomo arso dal sole del deserto, consumato da un esodo straziante. Solo per dare una possibilitá al figlio.
Anche dovessi trascinarmi faró di tutto per arrivare in tempo.