“Tutti i quadri dovevano avere le stesse dimensioni e gli stessi colori, in modo che fossero intercambiabili, e nessuno potesse pensare di avere un quadro migliore o peggiore”
Andy Warhol, La filosofia di Andy Warhol
Omologazione, riproducibilità, conformismo. Solo uno slogan? Non si direbbe. È un ritratto. Di chi, di cosa?Della cultura Occidentale. La sua grandezza e al contempo la sua piccolezza sono contenute in queste parole. Non vi è ipocrisia. Warhol mostra l’essenza del suo tempo così come lui la percepì.
“Il misterioso, oramai eterno successo, dell’arte di Warhol sta proprio nel non essere misteriosa affatto”
Francesco Bonami
È tutto lì, di fronte allo spettatore, ciò che si vuole e si deve esibire. Senza rimandi, senza ulteriorità. L’«enigma», che per secoli la storia dell’arte ha cercato di indagare, ora è ridotto alla norma, al “niente di più”. Scatolette di zuppa, ritratti di superstar: sono il dipinto di un’epoca, incorniciata alla perfezione da una mente non comune, che si mostra ora nella sua eccezionale banalità, nella sua straordinaria superficialità.
Che ne è di un mondo senza rinvii, di un mondo ridotto alla sua immagine? Che ne è dell’uomo, che da sempre si è considerato il protagonista di questo palcoscenico? L’icona incontestabilmente principale della Pop Art lo spiega senza giri di parole: tutto è spettacolo, tutto è novità, il mondo stesso è diventato spettacolo di sé stesso. La “gente” non vive più il rapporto drammatico con la propria finitezza come parte di questo.
Morbosamente si parla di morte, di fama e di successo come simulacri che consentono di ignorare chi effettivamente si è. Traspare oramai l’ossessivo bisogno di trovare motivi comuni da condividere con chi ci sta vicino e chi ci sta lontano, se non addirittura il desiderio di sentirsi ridotti tutti gli uni uguali agli altri, senza differenza alcuna.
“Ritengo che ciascuno dovrebbe essere come chiunque altro”
Andy Warhol, La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. Aforismi mai scritti
Nel 1956 il filosofo Günther Anders si accorgeva, con toni e modi differenti, del medesimo cambiamento in atto: “Se [..] i prodotti in serie sono riusciti a «sottrarsi alla morte» mediante la loro sostituibilità, e se l’uomo rimane escluso dall’esistenza in serie e dalla sostituibilità, rimane anche esclusa per lui la possibilità di sottrarsi alla morte. Il rendersi conto di non essere una merce in serie ha dunque l’effetto di un memento mori”.
Una descrizione esagerata, sicuramente. Una verità, però, è inaggirabile: l’uomo ha da sempre dovuto fare i conti con la propria mortalità.Questa preoccupazione ancestrale ha a che fare con la nostra insostituibile unicità. Tuttavia, come si può esperirla autenticamente, se l’epoca industriale impone una volontà massificante?
“L’inferiorità di cui soffriva era [..] duplice: in primo luogo non lo si poteva conservare come un frutto; e in secondo luogo, non era sostituibile come una lampadina; ma era semplicemente – l’onta era innegabile – un mero e deperibile pezzo unico.”
Günther Anders, La visione di un malato
È vero che non vogliamo morire ma è altrettanto vero che non vogliamo prolungare la nostra vita per milioni di anni. L’intuizione geniale conviene in quello che il nostro autore chiama «compromesso iconomanico»: il fatto cioè che partecipiamo per mezzo delle nostre immagini all’esistenza in serie dei prodotti di massa e alla loro reincarnazione industriale, e pur tuttavia restiamo noi stessi. Unici nella nostra ripetibilità. Moriamo con la nostra singolarità nella speranza di sopravvivere tramite le nostre immagini. Forse, come suggerisce il filosofo tedesco, questa è la migliore soluzione che in secoli di storia siamo risusciti a trovare al dramma della nostra fine.
L’eclettico artista statunitense ha cercato, tramite la sua instancabile ricerca, di dar voce a questo compromesso. Ci è riuscito? Chi può dirlo. Ciò che è certo sta in una provocazione: che non sia, in fondo, un monito, un allarme del rischio di essere ridotti a meri prodotti industriali pure noi, come le stesse opere d’arte?
Sarebbe sicuramente “più facile vivere se fossimo tutti delle macchine”
Andy Warhol, La filosofia di Andy Warhol