Il catalogo dedicato all’arte e fotografia del XX secolo di Finarte (asta 11.11.2015, Milano) presenta un nucleo di opere mai offerte prima sul mercato che vengono da un’importante collezione privata. Tra gli autori: Enrico Prampolini, Osvaldo Licini, Alberto Magnelli e Atanasio Soldati.
“Organismi cosmici” di Enrico Prampolini sarà presentato a una stima di € 40.000 – 60.000. L’opera, un olio su tela del 1930, è stata esposta alla XVIII Esposizione Biennale Internazionale di Belle Arti di Venezia, nel 1936
“Femme au turban” di Gino Severini è un piccolo olio su tavola del 1946. Gli anni ’40 e ’50 sono un periodo storico del percorso di Severini ancora poco studiato. Severini ripensa ai linguaggi dell’avanguardia ma non ripercorre mai percorsi già fatti, è un artista che non si lascia facilmente intrappolare in schemi o tendenze. La sua pittura, influenzata da Matisse e Picasso, è vivace ma mai aggressiva.
L’opera qui presentata è Il ritratto della signora Pierrette Colasson, moglie dell’artista-scenografo francese Maurice Colasson. Gli azzurri e i verdi luminosi e l’atteggiamento assorto della modella costituiscono l’aspetto emotivo più interessante dell’opera. E’ presentata in catalogo a una stima di € 50.000 – 70.000.
E’ offerto invece a € 170.000 – 200.000 “Cavallo e cavaliere”, del 1934 – 1935, di Giorgio de Chirico. L’artista nasce in Grecia nel 1888, dove il padre lavora come ingegnere ferroviario. Nel 1905 il loro padre muore e la madre si trasferisce a Monaco, dove il giovane de Chirico vede per la prima volta i quadri di Böcklin, che lo influenzano profondamente con il loro miscuglio di classicità (italiana) e romanticismo (tedesco). Dal 1910 in poi de Chirico matura la Pittura Metafisica (il termine significa, dal greco, meta: oltre; fisica: natura, percepita dai sensi). I canoni estetici sono costituiti da immagini che danno un senso di mistero e di sogno, le prospettive sono multiple e incongruenti tra loro, la figura umana appare in forma di manichino o statua, i colori sono piatti e uniformi. I riferimenti filosofici spaziano da Nietzsche alla “grecità”, intesa come culla dell’Occidente in cui tutti i fondamentali temi dell’umanità sono stati affrontati.
Per mio conto mi fregio di tre parole che voglio siano il suggello d’ogni mia opera: Pictor classicus sum. Con queste parole Giorgio de Chirico amava definirsi ai suoi contemporanei in un atteggiamento di puro dissenso nei confronti delle correnti avanguardiste. Le sue origini elleniche, la passione per la cultura classica invadono profondamente la poetica di de Chirico che dopo i successi del primo periodo metafisico, torna fedelmente alla figura intera, non più smembrata su più piani come richiedevano le teorie cubiste o scalzata dall’oggetto secondo le visioni Dada, né tantomeno trasfigurata nella sagoma di un manichino come suggeriva la visione del suo teatro metafisico, ma ricomposta in una fisicità corporea di matrice classica.
Cavallo e Cavaliere, dipinto tra il ’34 e il ’35, è uno straordinario olio in cui ritroviamo i temi fondanti del classicismo dai quali de Chirico eredita gli archetipi culturali per comporre un vocabolario iconografico del tutto personale: cavalli, cavalieri, scudi, centauri, elmi, battaglie sono i protagonisti della scena, i narratori di un racconto che ha origini antiche, nel mondo greco e latino, e che l’artista riattualizza con una poetica enigmatica, misteriosa, risolta in composizioni inattese, sospese tra fedele citazionismo letterario e sconfinata vivacità immaginifica.
Piazza d’Italia è un soggetto dipinto a più riprese da Giorgio de Chirico durante tutta la carriera. Gli edifici classici, i palazzi porticati, le torri, le statue dell’antichità sono elementi che caratterizzano questa fortunata serie. Il dipinto qui proposto, datato alla metà degli anni ’50, si colloca all’interno di un processo di rielaborazione del soggetto e dello stile che de Chirico mette in atto già dagli anni ’40 e che poi intensifica negli anni ’60 attraverso una sorta di “coverizzazione” delle sue opere più celebri.
L’equilibrio compositivo fondato su punti di fuga e simmetrie prospettiche dà la sensazione di trovarsi in un enigma da risolvere. L’utilizzo della luce radente che taglia lo spazio centrale del quadro occupato da elementi statuari, l’atmosfera teatrale, il senso di un tempo sospeso, la presenza minima di figure umane, definiscono l’estetica di questo importante dipinto. E’ stimato 230.000 – 260.000 €.
Con il termine Novecento si identifica la tendenza di tutti quei pittori che, a cavallo tra le due guerre mondiali, si dedicano alla figurazione. Ciò che accomuna gli artisti di questo periodo è fondamentalmente un atteggiamento critico verso le Avanguardie Storiche ed il ritorno alla pittura con tecniche tradizionali. I nomi di maggior spicco di questa corrente sono presentati in questo catalogo: Virgilio Guidi, Mario Sironi, Massimo Campigli, Filippo de Pisis e Ottone Rosai.
Di Massimo Campigli sono presenti tre opere. L’intera opera di Campigli è dominata dalla figura femminile. Amante delle donne, la figura maschile (come d’altronde nella sua infanzia) è assente. La passione per l’arte tribale, in particolare per quella etrusca, lo porta a ritrarre figure arcaiche. Le donne sono idoli, totem, clessidre. L’aspetto “antico” che tanto affascina nei suoi quadri è riconducibile alla modalità in cui Campigli stende il colore e alla riduzione della gamma cromatica ai toni della terra, che conferiscono alle tele l’aspetto di un affresco.
Jongleuses e Il gioco del diablo, dipinti rispettivamente nel ’45 e nel ’55, sono emblematici della tendenza che Campigli sviluppa dagli anni ’40 in poi. I soggetti femminili vengono ritratti in una dimensione ludica. Sono donne che giocano, donne che vanno a teatro, donne che svolgono svariate attività, sempre all’interno di un ordine prestabilito dal pittore.
Il maestro autodidatta, la cui produzione è spesso svolta seguendo lo stesso soggetto (nel suo atelier lavorava a più serie contemporaneamente), ha dipinto circa trenta dipinti sul tema del Diablo. L’ispirazione di ciò va ricercata nel capolavoro proustiano Alla ricerca del tempo perduto, che Campigli teneva sempre a portata di mano.
Albertine innalzava in fondo a un cordoncino un attributo bizzarro…; Si chiama “diabolo”, ed è talmente caduto in disuso che, davanti al ritratto di una fanciulla che ne abbia uno, i commentatori dell’avvenire potranno dissertare, come davanti a una figura allegorica dell’Arena, su ciò che essa ha in mano.
Renato Guttuso sarà in asta con quattro opere, tra cui si segnala un Nudo Disteso stimato € 80.000 – 100.000. Il realismo del pittore di Bagheria non è circoscritto ai soli temi sociali e politici, aspetti che ne hanno determinato l’accezione di “pittore di partito”, ma viene portato avanti attraverso una lettura della realtà in chiave esistenziale passando attraverso il racconto dei momenti più intimi e veri della quotidianità con particolare rimando al mondo femminile.
Le donne, sua grande passione e costante fonte d’ispirazione, sono protagoniste evidenti soprattutto da metà degli anni ’50. Questo Nudo sdraiato interpreta a pieno la poetica guttusiana del corpo femminile: formoso, erotico, carico di vitale carnalità. La tavolozza simuove su tonalità a lui care, il rosso, il giallo, il nero; colori forti, decisi, che richiamano alla propria terra, la Sicilia, e alla cronaca di un tempo reale. Sono donne vere quelle che Guttuso sceglie di raccontare, descritte nelle faccende di tutti i giorni, nei momenti di segreta intimità, catturate negli angoli bui della loro vita, che sia una cruda scena domestica o l’amore passionale nei bordelli. Figure ritratte di schiena o distese su letti disfatti, sfrontate nelle loro pose, apparentemente non curanti di chi le osserva, ma profondamente consapevoli della loro sensualità e orgogliose della propria esistenza.
In catalogo non mancano anche artisti stranieri, con due opere di Conrad Marca-Relli e Henry Moore.
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Asta “Arte e Fotografia del XX secolo”
Mercoledì 11 novembre, ore 15
La Permanente via Filippo Turati, 34 Milano
Sede casa d’aste
Via Brera n. 8, Milano 20121
Tel. +39 02 36569100
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