Michael Fassbender è l’attore del 2016 (dopo esser stato anche quello del 2011) ed è pronto a strappare l’Oscar a Leonardo DiCaprio. In sala con due film che, già possiamo dirlo, sono pronti a confermarsi come tra i più riusciti di questa nuova annata cinematografica: Steve Jobs e Macbeth. Uscirà il 21 gennaio nelle sale italiane Steve Jobs, il nuovo film di Danny Boyle, regista di Trainspotting e premio Oscar per The Millionaire che torna, dopo quel pasticciaccio che è stato In trance, con un biopic in cui Michael Fassbender regala una prova da Oscar.
L’attore irlandese ha debuttato nel 2007 in 300, ma ha conquistato pubblico e critica grazie ai lavori di Steve McQueen: Hunger e Shame (2011). Di Shame molto chiacchierato, più della Coppi Volpi vinta a Venezia, il suo full frontal. Charlize Theron, sua partner in Prometheus di Ridley Scott, aveva così commentato -birichina- la sua performance in Shame: «Devo dire che sono molto impressionata di come hai deciso di fare le cose in grande. Altri attori sarebbero stati più modesti… credimi. Lo so perché ci ho lavorato».
Chiacchiere a parte sulle doti artistiche di Michael Fassbender resta il fatto che Shame è senza ombra di dubbio uno dei film più belli e potenti degli ultimi 10 anni.
In Steve Jobs alla sceneggiatura Aaron Sorkin, premio Oscar nel 2011 per la sceneggiatura di The Social Network (David Fincher, 2010). Sorkin, lo ricordiamo, per il grande schermo tra gli altri ha firmato anche L’arte di vincere (Moneyball) e La guerra di Charlie Wilson (Mike Nichols, 2007), per la TV invece West Wing – Tutti gli uomini del Presidente e The Newsroom. Sagace e fulmineo, affilato e selvaggio: questo lo stile che da sempre lo contraddistingue.
In Steve Jobs Sorkin non si smentisce e regala agli attori e al regista una sceneggiatura che è una vera prova d’autore con la quale si è aggiudicato il Golden Globe per la miglior sceneggiatura, ma inspiegabilmente è stato snobbato alle nomination degli Oscar 2016.Con Steve Jobs siamo nei pressi del capolavoro. Probabilmente il miglior Boyle di sempre. Michael Fassbender e Kate Winslet sono che coppia perfetta, lei premiata con il Golden Globe per la sua interpretazione e lui in lizza per l’Oscar come miglior protagonista. Michael Fassbender è già pronto a soffiare l’Oscar a Leonardo di Caprio, ormai destinato, si sa, a restare senza Oscar come una Katy Perry qualsiasi senza Grammy. Come Birdman anche Steve Jobs è un film fatto di corridoi, di dietro le quinte. 1984, Macintosh 128K. 1988, NeXT Computer. 1998, iMac.
Michael Fassbender e Kate Winslet si rincorrono, si inseguono, si supportano e combattono, si rubano la scena l’un l’altro, ma restano sempre nella misura perfetta, mai un eccesso, mai una forzatura. Ad accompagnarli una colonna sonora magistrale.
In Macbeth invece, seconda regia per il regista australiano Justin Kurzel, presentato a Cannes 2014 in concorso per la Palma d’Oro, Michael Fassbender da volto e corpo al tragico eroe shakespeariano. Marion Cotillard è un meravigliosa Lady Macbeth, meno perfida, più vittima di sé stessa e del suo cinismo. Anche in questo caso una coppia di attori che si misura meravigliosamente con un testo perfetto. Da contraltare ai primi piani dei protagonisti -nemmeno ci dovrebbe essere il bisogno di sottolinearlo ma, bellissimi- si aprono selvaggi gli orizzonti delle Highlands.Il Macbeth di Justin Kurzel conferma il carattere fosco della matrice letteraria e si dipana in sospeso tra l’esperienza visiva astratta e violenta di Valhalla Rising (Nicolas Winding Refn) e un estetismo ieratico e sontuoso che porta in sé echi di Tarkovskij.
Nella brughiera immersa nella nebbia dissolte nell’aria riecheggiano le profezie delle sorelle fatali. Notti infauste e ferali, scosse da lamenti di morte, si susseguono mentre i fantasmi dell’ambizione, che si agitano e manifestano in dipinti di morte, fanno a gara per incoronare un re che regnerà su un trono di sangue.Trono di sangue che è il titolo italiano di Kumonosu-jō (1957), l’adattamento del Macbeth per la regia di Akira Kurosawa. E proprio in una chiave estetica orientale possiamo trovare una cerniera che coniuga i diversi stili che si fondono nella magnificenza del Macbeth di Justin Kurzel che deve sicuramente gran parte del suo fascino alla fotografia di Adam Arkapaw, eccelsa.
In questo regia di matrice pittorica, in cui ogni fotogramma è un acquarello dalla disarmante perfezione, Michael Fassbender si fa volto -e occhi- della paura e della pazzia, del dubbio e dell’angoscia, senza mai nemmeno avvicinarsi allo strapiombo dell’istrionismo, confermandosi un attore di razza, pronto al suo primo Oscar.