What happened miss Simone, il documentario prodotto da Netflix in corsa per gli Oscar 2016. Un paio di cosa che ci ha insegnato su una leggenda della musica. Netflix ormai è lanciatissima, dopo aver rivoluzionato il mondo dei serial TV come secondo step s’è buttata sui documentari.
Un campo ancora abbastanza defilato, in cui è possibile muoversi abbastanza liberamente -se si parla di mainstream- e con qualche mossa furba è riuscita a piazzare un paio di buoni risultati. What happened miss simone è in corsa agli Oscar 2016 come miglior documentario e Making A Murder -documentario che esplora la storia di Steven Avery– è diventato un vero e proprio caso accolto da critica e pubblico con grande favore.
What happened miss Simone, diretto da Liz Garbus, prende il titolo da una citazione di Maya Angelou e racconta la storia di una donna tribolata, un’artista dotata e appassionata, ma perennemente frustrata.
Sì, frustrata perché Nina Simone voleva fare la pianista classica e suonare Bach. Fin da ragazzina il suo più grande desiderio era quello di diventare la prima pianista di colore a suonare Bach alla Carnegie Hall. Invece diventò una cantante di standard nei piano-bar per mantenere la famiglia.
Ben presto però arrivò il successo, un talento simile non poteva rimanere nascosto molto a lungo e sotto la guida del marito manager -ex poliziotto- che la riempiva di botte la sua carriera spiccò il volo: la sua incisione di I Love You Porgy divenne una hit in classifica e la fece conoscere al grande pubblico che iniziò ad adorarla.
Ma Nina Simone nonostante il successo era attanagliata dalla depressione, allora riversò la sua frustrazione (artistica e non solo) nella lotta per i diritti degli afroamericani scrivendo e cantando canzoni impegnate socialmente impegnate. Mississippi Goddam fu una canzone rivoluzionaria, sosteneva i diritti civili ma le radio non la volevano passare: conteneva un’imprecazione! Scatoloni di 45 giri distrutti vennero riconsegnati direttamente al mittente. Ma Nina Simone perseverò, la lotta per i diritti civili sembrava l’unica cosa che la spingesse a continuare. E si rovinò la carriera.
Nessuno la voleva più ingaggiare, era vista come una riottosa. Gli impresari volevano concerti e non comizi. Era la Anna Oxa dei diritti afroamericani.
What happened miss Simone, mostra come Nina Simone si rifugiò poi in Liberia con la figlia per ritrovare sè stessa e le sue radici, per mettersi al rifugio dallo showbiz e da un matrimonio allo sbando; ma la figlia, allora quattordicenne, dovette scappare perché la madre, sempre più in preda a deliri bipolari, la ammazzava di botte.
Nina Simone, anni dopo, finiti i soldi, tornò a esibirsi in Europa con non poche difficoltà ma… E il documentario prosegue mostrandoci gli anni della sua seconda carriera: concerti e psicofarmaci, tra qualche rimpianto e la musica che non si fermava mai.
What happened miss Simone alterna materiale d’archivio a interviste e compone come un puzzle la storia di un’artista con un’anima scura e contraddittoria, non cade nel rischio dell’agiografia: è un documento onesto. Furbo quanto basta per mantenere viva l’attenzione dello spettatore, ma sempre attento a non cadere nella fiction.
Resta la musica di Nina, commovente come solo una stella della sua grandezza può.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=R96jRnBYymU[/youtube]
«Stars, they come and go, they come fast they come slow
They go like the last light of the sun, all in a blaze
And all you see is glory
But most have seen it all,
they live their lives in sad cafes and music halls
They always have a story…»