The Hateful Eight, l’ottavo film di Quentin Tarantino. An honour beyond words
«Listen for a moment, lads
And hear me tell my tale…»
Jennifer Jason Leigh, Jim Jones At Botany Bay,
dalla colonna sonora di The Hateful Eight
Il ritorno di una star non è mai una questione da nulla.
Quentin Tarantino è una celebrità, uno di quei registi la cui fama precede le proprie opere; probabilmente non serve nemmeno aver visto, capito o apprezzato i suoi film per sapere quanto sia importante il suo nome nel panorama artistico contemporaneo.
Dopo il divertente cameo in She’s Funny That Way (Tutto può accadere a Broadway) –ultimo esilarante capolavoro del maestro della commedia americana Peter Bogdanovich- ma senza mai in realtà essere sparito dalle scene (chi non ricorda il twist con Uma Thurman sul red carpet del Festival di Cannes nel 2014, in occasione dei vent’anni dalla proiezione al festival di Pulp Fiction?) Tarantino, maestro del cinema pulp, torna nelle sale di tutto il mondo con The Hateful Eight, film fra i più attesi dell’anno.
La portata grandiosa dell’evento è evidente fin dalla macchina organizzativa in moto per la presentazione italiana del film a Roma, avvenuta il 28 gennaio allo storico cinema del Teatro 5 di Cinecittà – in cui per l’occasione è stata letteralmente ricostruita la scenografia innevata da teatro di posa del film – a cui hanno presenziato Quentin Tarantino in persona, gli attori Kurt Russell e Michael Madsen (entrambe conoscenze di vecchia data del regista) e l’indiscusso sovrano delle colonne sonore, l’italianissimo Ennio Morricone, fresco di Golden Globe.
«It’s absolutely amazing to be here – ha dichiarato il regista in occasione della prima nazionale – Even showing the movie here in Cinecittà, it’s just… It’s an honour beyond words».
D’altronde Cinecittà è la patria dei suoi maestri o, per dirla più poeticamente, dei suoi “padri putativi”: cresciuto fin da bambino con un’onnivora fame cinefila, le più grandi passioni che Quentin Tarantino non ha mai nascosto sono il cinema orientale e lo spaghetti-western inaugurato da Sergio Leone. Non a caso la richiesta per la soundtrack è stata diretta dall’autore in persona al maestro Morricone, colui che ha firmato le colonne sonore di tutti i più grandi film di quel genere e che torna così ad occuparsene dopo quasi quarant’anni.
In The Hateful Eight la mescolanza dei generi è parte centrale, quasi la radice dello stesso film: le due parti che – strizzando l’occhio alla suspense hitchcockiana – giocano con lo spazio e il tempo, ritornano sul già narrato e ne svelano i segreti, sono l’occasione perfetta per vomitare (non solo metaforicamente) una critica integra e consapevole a un sistema di civiltà basato sulla menzogna. Per dirla in parole più semplici, è la smitizzazione del sogno americano, raccontata attraverso la provocazione di uno degli artisti più sperimentali e innovativi del nostro tempo (definito proprio da Bogdanovich come il regista più influente della sua generazione).
Fondamentali in questo proposito sono i personaggi, vere e proprie macchie, caratteri forti e a tratti plastificati atti a soddisfare l’attitudine tipica del regista. Dai cacciatori di taglie John Ruth -interpretato da Kurt Russell– e il Magg. Marquis Warren -un sempre strabiliante Samuel L. Jackson- per arrivare ai veri e propri tipi teatrali impersonati da tutti quegli affezionati al cinema di Tarantino, colleghi che tornano fedelmente a lavorare con lui dopo carriere di indescrivibile successo e riconoscimenti internazionali.
Così come si rivela curiosissima la scelta delle new entry: la sorpresa migliore è indubbiamente Jennifer Jason Leigh, one-stand woman che in un film al maschile si trasforma in novella Elena di Troia, per la cui sorte si scatena l’intera vicenda narrativa; ma la parte più divertente è riservata a Channing Tatum, il divo hollywoodiano contemporaneo, un sex symbol – bello e pure bravo! – che si rende disponibile a entrare in questo gioco perverso con lo star system e i suoi idoli.
Di nuovo, la smitizzazione di un sogno americano: quello debole e contemporaneo del successo. Un gioco in cui Tarantino, d’altronde, è un esperto; come non notare, fin dal principio, l’occhiolino complice (e indubbiamente arrogante) che l’attenzione mediatica riservata al numero 8 (un frame dei titoli di testa, nella versione in pellicola, recita testualmente: «The H8ful Eight, the 8th film written and directed by Quentin Tarantino») strizza all’importanza simbolica data allo stesso numero da un altro maestro del cinema italiano, un certo… Federico Fellini?Il film, nelle sale italiane ufficialmente dal 4 febbraio, è disponibile nel Bel Paese già dal 29 gennaio, distribuito in tre sale nella sua versione originale in 70 mm: L’Arcadia di Melzo in provincia di Milano, il Cinema Lumiére della Cineteca di Bologna e il Teatro 5 di Cinecittà (dove, appunto, si è svolto l’evento della prima nazionale). Come recita il depliant distribuito dalla Cineteca di Bologna, «la ricchezza di informazioni e il dettaglio dell’immagine garantiti da Ultra-Panavision 70 [la migliore pellicola della storia del cinema] non hanno rivali», promettendo un’esperienza unica agli spettatori.
D’altronde è molto particolare anche la modalità di presentazione scelta da Tarantino e dalla sua squadra per portare The Hateful Eight in giro per il mondo: ripescando la tradizione del roadshow, tipica degli anni Cinquanta e Sessanta, l’obiettivo è catturare il pubblico con uno spettacolo a 360°, il cui gusto è proprio quello di un evento speciale e dove il film viene mostrato in una versione più lunga (fatto!), introdotto da un’Overture musicale (fatto!) e con l’integrazione di un intervallo fra i tradizionali (e nostalgici) primo e secondo tempo (anche questo, fatto!).
The Hateful Eight è l’ottavo film di Quentin Tarantino, sì, ma è anche l’ottava possibilità per lo spettatore di rifugiarsi ingenuamente in un mondo strabiliante. Arrivando a un pubblico ormai corrotto da abitudini esageratamente intellettualiste, la vera forza del cinema di questo ex commesso di videoteca, diventato al contempo star e autore riconosciuto dalla critica internazionale (anche se, ammettiamolo, con qualche riserva da parte dell’accademia…) sta proprio nell’entusiasmo in grado di risvegliare negli animi di chiunque, dall’adolescente impreparato agli studiosi più rispettati.
Quindi l’unico compito che ci spetta è prendere posto in sala, metterci comodi sulla poltrona e lasciarsi trascinare dentro alla tempesta di neve.