Le meraviglie di Venezia, le sue piazze, i monumenti, le calli e i campielli che l’hanno resa celebre, sono protagoniste delle vedute in mostra a Palazzo Martinengo di Brescia. Oltre 100 capolavori raccontano le vicende e gli artisti che hanno contribuito a portare la conoscenza della Serenissima oltralpe. Dal settecentesco periodo del Gran Tour fino alla fine dell’Ottocento, l’esposizione Lo splendore di Venezia è un viaggio lungo due secoli, realizzato sotto la curatela di Davide Dotti che noi, abbiamo incontrato.
Come mai la scelta di una mostra dedicata al Vedutismo? Per di più ci troviamo davanti ad un percorso espositivo che scardina l’immagine comune, spesso limitativa, che vede il Vedutismo come un momento artistico limitato in un preciso arco di tempo nel quale i capisaldi sono Canaletto Bellotto e Guardi…
Assolutamente. La critica negli ultimi decenni ha riportato a galla personalità del XIX secolo come Giuseppe Bernardino Bison, Guglielmo Ciardi e Federico Moja che per troppo tempo erano state schiacciate dal peso ingombrante dei maestri del Settecento. Quindi l’idea di proporre per la prima volta in assoluto una mostra che esplori questa fantastica corrente pittorica attraverso due secoli con un suggestivo dialogo e confronto tra i grandi maestri del XVIII secolo come Canaletto, Bellotto, Guardi e tutti gli altri, e anche tutti quelli dell’Ottocento.
Una città al confine tra mito e realtà dove spesso alla veduta subentra anche il Capriccio: qual’è l’immagine che si viene a creare di Venezia raccontata dagli artisti in mostra?
Ogni artista, sia nel Settecento che nell’Ottocento, fornì una propria interpretazione della Serenissima. Se nelle vedute di Canaletto si nota una certa idealizzazione e spettacolarizzazione della Venezia dell’epoca, perché di fatto i committenti lo pagavano per questo, Francesco Guardi ci restituisce un’immagine di Venezia decadente, triste, con gli intonaci scrostati e l’acqua dei canali torbida. Bossoli ci mostra invece l’immagine di una Venezia onirica così come Caffi rivela una Venezia avvolta nelle nebbie oppure i notturni. Ogni artista seppe fornire la propria interpretazione, cromatica, luministica e sentimentale degli scorci della Serenissima.
Dopo le luminose vedute è per l’appunto Ippolito Caffi a presentare una Venezia buia, dove anche la luna tende a sparire. È stato il primo a occuparsi di notturni?
Ippolito Caffi fu un’artista straordinario con una vita quasi da romanzo; fu uno dei primi a fare dei notturni. In realtà prima di lui, Canaletto si occupò di questa scelta rappresentativa; ne realizzò due durante il Settecento che oggi si trovano in Germania. Caffi però, alla fine degli anni ‘30 inizio anni ‘40 dell’Ottocento, propose questi notturni che espose alla sagra di San Pietro in Catello in notturna che affascinarono terribilmente i committenti dell’epoca riscuotendo così un grandissimo successo. Da quel momento tutta una serie di artisti seguì questa moda dei notturni al chiaro di luna.
Grande importanza è rivestita in mostra da Giuseepe Bernardino Bison: questi ha operato prevalentemente a Trieste ma ha avuto un ruolo chiave nella veduta veneziana a cavallo tra ‘700 e ‘800, come mai?
Giuseppe Bernardino Bison – a cui Fabrizio Magani ha dedicato un’importante monografia, a dimostrazione ulteriore di come i tempi siano ora maturi – fu una figura fondamentale perché nacque durante il Settecento e morì nell’Ottocento avanzato. Divenne il traghettatore del genere tra i due secoli. Egli partì dalla tradizione di Canaletto che, per gli artisti dell’Ottocento, rimane la stella polare, e innestò su di essa la nuova estetica del classicismo, rigenerando e ricreando la nuova immagine di Venezia con una particolare sensibilità cromatica, luministica e atmosferica. Quindi svolge un ruolo fondamentale di traghettatore.
Nel maggiore dei casi, le vedute rappresentano luoghi ormai parte dell’immaginario collettivo veneziano: Punta della Dogana, la Zecca o Piazza San Marco. Pian piano che ci si avvicina ai tempi più recenti, l’interesse degli artisti spazia nella rappresentazione di scorci meno conosciuti. Come mai questa inversione di tendenza?
È un fenomeno che caratterizza il periodo ottocentesco; questo perché, gli artisti del XIX secolo, per non essere bollati come copisti o epigoni dei grandi del Settecento, dovettero rinnovare la propria immagine di Venezia: partendo dunque all’insegna dei contesti atmosferici, delle ambientazione e degli scorci prospettici e dei tagli. Così ci troviamo dinnanzi a nuovi scorci. Il motivo era quindi quello di non essere etichettati come seguaci piatti piatti dei grandi maestri della tradizione settecentesca.
Una sezione della mostra bresciana è dedicata alle incisioni, documenti fondamentali per la circolazione dell’immagine di Venezia: perché la predilezione per le tecniche dell’acquaforte e del bulino? All’epoca circolavano altre tecniche di stampa tra le quali l’acquatinta o la punta secca..
Nel Settecento veneziano la tecnica prediletta è l’acquaforte perché ha un tratto calligrafico e preciso. La sezione è fondamentale per far capire la diffusione dell’immagine di Venezia in tutta Europa che fu una diffusione in bianco e nero. Non dimentichiamoci che gli oli andavano a finire nelle collezioni private dei nobili, specialmente inglesi, quindi non erano visibili ad un pubblico più vasto. Furono invece le incisioni, con le loro tirature più vaste, a diffondere e a consolidare l’immagine della Serenissima in Europa.
Si può sempre riconoscere la paternità di un’incisione? C’è qualcosa che le contraddistingue (come ad esempio la firma dell’autore)?
La firma è una convenzione tipica settecentesca perché queste incisioni venivano esposte in Album o cataloghi e gli artisti gli firmavano per non correre il rischio di passare per anonimi. Quindi, piuttosto che sugli oli, era proprio sulle incisioni che l’artista firmava ciascun pezzo.
Fino al 12 giugno la mostra bresciana scardina l’idea comune di Vedutismo in un percorso che mette in dialogo grandi nomi della storia dell’Arte con importanti artisti – del panorama del Settecento e Ottocento italiano – che hanno fatto di Venezia la loro fonte d’ispirazione; pittori che hanno dato vita all’immagine di una Serenissima talvolta surreale, fantasmagorica, romantica e al tempo stesso inquieta che catapulta il suo visitatore – per citare John Ruskin nel suo Diario Italiano – nel “paradiso delle città”.
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INFORMAZIONI UTILI
Lo splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento
Palazzo Martinengo, Brescia
Fino al 12 giugno