Massimiliano Gatti si laurea in Farmacia e si diploma in Fotografia al Cfp R. Bauer di Milano. Le sue ricerche fotografiche mettono insieme passato e presente con un’ottica del tutto singolare.
Così parla dei suoi tre progetti fotografici: “In superficie, l’ho realizzato nel nord dell’Iraq. Ho preso parte come fotografo al progetto PARTeN dell’Università di Udine: un’ampia ricerca interdisciplinare volta allo studio del paesaggio archeologico della terra di Ninive. Mi sono trovato davanti a tracce lasciate da millenni di civiltà: resti dell’epoca assira, ellenistica, persiana e ottomana fino ad arrivare a resti delle guerre più recenti che hanno devastato il Paese.
Tutti gli oggetti provengono dallo stesso strato, la superficie della terra, come se si fossero affiancati naturalmente per raccontare una sola storia che continua da secoli.
Terra promessa, invece, nasce dal mio ricordo, dalla mia esperienza personale. L’ho sviluppato attraverso immagini che combinano il mio segno personale, un oggetto, e il territorio, la cartina geografica come sua rappresentazione. Le immagini sono tonde come un punto, la forma geometrica basilare, ma tonde anche come il globo. I miei oggetti si impongono su cartine locali che, di fatto, non rispettano i confini reali degli stati.
Warana eh, è un’espressione araba che invita a guardare al futuro, chiedendosi cosa resti del passato, cosa resti dietro. Ed è proprio questo “Dietro” il fulcro attorno cui ruota la mia ricerca, in particolare quello spazio urbano retrostante le case di recente edificazione e che, a breve, sarà occupato da nuove costruzioni, uno spazio per il futuro. Warana eh non è immagine di un vuoto, ma di un pieno, in potenza, è l’immagine di un punto di partenza, il punto zero da cui si dipana la strada per un domani ancora da costruire. Ed ecco il senso di Warana eh: dietro cosa c’è? C’è il futuro in quegli interstizi urbani, in transizione, dove a breve verranno fondate nuove abitazioni, dove si insedieranno nuove famiglie e da dove partirà il futuro della nazione curda, ma è anche un richiamo al passato, che si lascia indietro per intravedere il domani, che, in questo caso, sta proprio alle spalle delle case.”
Massimiliano Gatti vive e lavora tra l’Italia e il Medio Oriente.
Dove nasce l’interesse e cosa la spinge ad avvicinarsi alla fotografia?
Ho compiuto studi scientifici, mi sono laureato in Farmacia e ho fatto ricerche di biochimica per alcuni anni a Granada, in Spagna. Da sempre, però, le arti figurative, la musica e il cinema sono stati al centro della mia attenzione. In particolare, in Spagna, vivevo con alcuni fotografi, avevamo montato, in una stanzetta di casa nostra, una camera oscura. C’è qualcosa di chimico, di alchemico, direi, nella fotografia che ho subito sentito affine e vicino al mio essere e al mio modo di pensare. Ho iniziato a fare pratica di stampa e me ne sono appassionato. A quel punto, ho deciso di mollare la ricerca scientifica, sono tornato a Milano e ho iniziato a studiare fotografia alla scuola Riccardo Bauer.
Che cos’è la fotografia per Massimiliano Gatti.
La fotografia è un linguaggio: un sistema di norme e regole fisiche e chimiche, ma anche estetiche e concettuali che permettono di tratteggiare la propria prospettiva del mondo. La fotografia non è una mera rappresentazione della realtà, ma un punto di vista, una scelta di angolatura.
Che cos’è per lei la “ricerca fotografica” e come la sviluppa?
La ricerca fotografica, per me, è la scelta personale: la scelta della propria posizione da cui osservare e interpretare i segni della realtà, la consapevolezza del mondo in cui si vive, la costruzione di una struttura logica e concettuale che permetta di decifrare le tracce dello stato delle cose.
In qualche modo, il metodo scientifico che mi porto dentro dalla mia formazione, ha influito sul mio approccio: mi ha insegnato a raccogliere dati e, in qualche modo, a sospendere il giudizio, mostrare, ma non dimostrare, perchè il mondo, nella sua complessità, resta un essere indecifrabile.
Esiste un filo conduttore che si dipana in tutte le mie ricerche ed è il concetto di tempo legato a nodo stretto con la memoria. È come, se andassi a ricercare le tracce che gli eventi storici e l’uomo imprimono sui luoghi o sulle cose. Il passato come radice del presente è un concetto che spesso, anche inconsciamente, mi trovo a sviluppare nelle mie ricerche artistiche.
Quali “segni della realtà” le piace interpretare e perché.
Io parto sempre da una ricerca personale che parte da una suggestione, un pensiero, un libro, una canzone. A partire da questo punto, inizio a strutturare il mio pensiero in forma “fotografica”, in forma di immagine. Quello che mi interessa, in genere, è il segno, la traccia lasciata dall’uomo, nel suo passaggio, che ne racconti la storia.
Crede che la sospensione del giudizio, il mostrare senza dimostrare, sia una scelta “ottica” sua o è una caratteristica del “media” fotografia?
In realtà, è una caratteristica tecnica della fotografia, che, come indice, non fa altro che indicare una certa cosa. Io sfrutto, retoricamente, questa peculiarità del mezzo per strutturare le mie idee e i miei fulcra di riflessione.
Tecnica, occhio. Quale dei due hanno una determinante fondamentale, per lei, in fotografia.
Secondo me, dietro a una buon progetto fotografico deve risiedere una forte struttura concettuale, di pensiero, prima di tutto. Come ho detto, la fotografia è un linguaggio, un modo per esprimere le proprie idee o le proprie sensazioni; quello che conta è, secondo me, la validità del pensiero oltre che, ovviamente la pura e mera tecnica fotografica.
Cosa l’aspetta nel prossimo futuro.
Sto preparando una personale presso la RBContemporary di Milano, la galleria che segue il mio lavoro artistico. Abbiamo anche in programma la fiera MIA, sempre a Milano.