Per troppo tempo lasciati in ombra dai grandi maestri del Quattrocento veneziano – Bellini, Giorgione e Tiziano – per la famiglia Vivarini è giunto il momento di prendersi il loro posto tra i grandi della pittura. A consacrare il trio dei pittori Antonio, Bartolomeo e Alvise, è la mostra a loro dedicata a palazzo Sarcinelli di Conegliano fino al 5 giugno: I Vivarini. Lo splendore della pittura tra Gotico e Rinascimento. Sotto la guida del suo curatore Giandomenico Romanelli, l’esposizione è la prima monografica mai dedicata a questa importante famiglia di artisti veneti, identificati dagli storici dell’arte con l’espressione “scuola di Murano”.
Considerata durante il XV secolo come la più autorevole alternativa veneziana al primato della bottega belliniana, la famiglia Vivarini non ha goduto di grande fortuna critica in epoca moderna; tralasciando studi e ricerche su opere specifiche, il testo di riferimento per gli studi sulla produzione dei Vivarini risale al lontano 1962 e porta la firma di Rodolfo Pallucchini.
La mostra trevigiana – con le sue esplicative 8 sale – pone in risalto un’inedita e originale scrittura pittorica portata avanti dalla bottega veneziana per quasi settant’anni.
Nelle prime sale della mostra, dominano la scena le tavole a soggetto religioso di Antonio, il più anziano tra i Vivarini. In molte opere affiancato dal nome di Giovanni D’Alemagna – socio dell’atelier Vivarini e sposo di una delle sorelle di Antonio – non si lascia intimidire la produzione artistica che vede protagonista il solo pennello dell’artista muranese: mossi i primi passi nel clima artistico della Venezia degli anni ‘30 del Quattrocento, opere come il Polittico di Parenzo, testimoniano una maestria figurativa non lontana da quella dei maestri toscani quali Filippo Lippi e Masolino (già conosciti in territorio veneto).
Nonostante le reminiscenze gotiche infatti – date dalla forte presenza del fondo oro a contornare i soggetti rappresentati – è palpabile il realismo nella resa degli incarnati, nei giochi di ombre e nei drappeggi delle vesti dei Santi.
Seppur legato ad una committenza ecclesiastica (come gran parte dell’opera dei Vivarini, impegnati nella collaborazione con esponenti del movimento riformista della Chiesa che al tempo si andava definendo con il termine di osservanza) il mondo pittorico di Bartolomeo, nonostante una prima fase che lo vede lavorare fianco a fianco del fratello, si differenzia poi da quello di Antonio per tecnica e influenze artistiche.
Impegnato in commissioni che negli anni Cinquanta del Quattrocento lo vedono estendere la sua attività lungo le coste adriatiche, il segno di Bartolomeo ha richiami diretti a quelli di Andrea Mantegna. Le figure plastiche, quasi scolpite nel marmo, dai contorni ben marcati e definiti, si avvicinano alle immagini del maestro di Mantova; un linguaggio che però il Vivarini inclina magistralmente alle sue esigenze narrative. Emblema della ricerca bartoloniana è la Sacra conversazione della Basilica di San Nicola di Bari.
È qui che l’artista abbandona la tipologia più antica del polittico (quello prediletto dal fratello Antonio) per aprire le porte ad una scena unitaria e più moderna di Sacra conversazione. Una tipologia portata alle sue massime capacità espressive dal nipote di Bartolomeo, Alvise.
Le ultime sale della mostra a Palazzo Sarcinelli, raccontano la poliedricità della pittura del più giovane dei Vivarini. La ricerca artistica di Alvise attraversa diverse fasi che prendono vita nello stile tipico dello zio nell’atelier di famiglia per poi crescere nelle ricerche atmosferiche e tonali che caratterizzano la pittura belliniana; a queste ultime però il giovane Alvise aggiunge una componente di “verismo” che si evince nella maestosa tela del Cristo portacroce della veneziana Basilica dei Santi Giovanni e Paolo.
Gli esempi di ritrattistica (come il Cristo benedicente dalla Pinacoteca di Brera presente in mostra) fanno emergere una pittura in linea con quella di Antonello da Messina; a suggellare questo insegnamento è il Cristo Risorto della veneziana Chiesa di San Giovanni in Bragora. In tutta la sua monumentalità, il Cristo trionfatore presenta il risultato più alto dell’opera dell’ultimo dei Vivarini, fatto di una pittura che in sé contiene ciò che artisti, come Lorenzo Lotto e Jacopo de Barbari, svilupperanno nel corso del Cinquecento.
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INFORMAZIONI UTILI
I Vivarini. Lo splendore della pittura tra Gotico e Rinascimento
Palazzo Sarcinelli, Conegliano (TV)
Fino al 5 giugno 2016