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Informazione libera tutti: risposte dal mondo alla negazione del diritto alla libertà di stampa, di pensiero e di espressione

libertà informazione

giornalista morto

Censura, libertà di stampa e accessibilità all’informazione sono stati temi fondamentali in questa X edizione, appena conclusa, del Festival Internazionale del giornalismo a cui sono stati invitati a parlare di libertà giornalisti e blogger che si trovano a combattere ogni giorno contro l’oppressione dei diritti nel proprio paese.

Il mondo sta cambiando è il titolo della conferenza tenuta dal giornalista australiano Peter Gresteche porta all’attenzione un sondaggio del Freedom Hub su come sia mutata la libertà di stampa nel mondo dal 1995 ad oggi.

I grafici mostrati presentano dati raccapriccianti: la libertà di stampa scompare pian piano a partire dal 2000 in America latina, dal 2005 in Africa e, oggi, è totalmente assente in tutto il Medio Oriente. Il numero di giornalisti uccisi raggiunge il vertice tra il 2011 e il 2012 con la guerra in Afghanistan e gli ultimi dati rivelano che la situazione non sta migliorando. La metà sono giornalisti che lavorano online, seguiti da carta stampata, televisione e infine radio. I capi d’accusa per cui vengono condannati sono sempre gli stessi: calunnia, diffusione di notizie false, offesa delle religioni e opposizione al regime. Lo stesso Peter Greste è stato detenuto in Egitto per quattrocento giorni con l’accusa di avere intrattenuto rapporti con i terroristi: quella che, dallo stato egiziano, è stata chiamata collaborazione fu, solamente, il rischioso tentativo un giornalista di svolgere bene il suo lavoro.

Spostandoci sul fronte dell’accessibilità dell’informazione interessante è prendere in considerazione il caso della Russia che Freedomhouse ha definito un paese non libero per l’informazione su internet. A parlare di questo tema sono stati i giornalisti Andrei Soldatov e Irina Borongagli, autori del libro The red web: come Putin controlla il web e i nuovi ribelli digitali, che hanno raccontato al pubblico la difficoltà di svolgere il loro mestiere in Russia.

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Tutto ha avuto inizio nel 2012 dopo le proteste di Mosca, in cui gli attivisti si sono mobilitati e organizzati attraverso i social network. Successivamente a questo episodio è stato chiuso nel Paese, a seguito di pesanti pressioni al suo creatore, il social russo Ex conctact e censurati numerosi siti e pagine internet. Inoltre, tutte le comunicazioni attraverso Google (gmail, dropboxetc), ora che i servizi della società di telecomunicazione, a cui ciò non sembra creare alcun disturbo, sono stati trasferiti su suolo russo, non sono più sicure.

Ma come funziona, davvero, il sistema di intercettazione via web?

In Russia -dice Irina Borongagli- non ci sono degli esperti in tecnologia e tutta la campagna del Cremlino si basa sull’ intimidazione e di conseguenza la gente è molto cauta in quello che scrive. Tuttavia alle minacce non seguono i fatti, in quanto sembra che la Russia non possieda i mezzi per eseguire un controllo sistematico dei movimenti sul web: il sistema di sorveglianza non è effettuato su larga scala ma su elenco ristretto di individui, vigilati attraverso i trolls, persone che condividono la politica del Cremlino e si infiltrano nelle web community per monitorare le chat.

La strategia perseguita da Putin nel contrasto del web è basata su una teoria arretrata e paranoica: il Presidente russo, attraverso uno schema prettamente sovietico, attribuisce a Internet l’immagine di un “grande fratello americano” che monitora il mondo.

La conseguenza di questa visione strampalata risulta più che evidente nei mezzi utilizzati per il controllo dell’informazione, non distanti da quelli portati avanti dal KGB (polizia del ex-regime sovietico) negli anni ottanta.

Tuttavia, sembra che la strategia del Cremlino presenti qualche falla; dopo gli scontri in Ucraina nel 2014, durante i quali Vladimir Putin ha più volte ribadito di non avere inviato alcuna forza armata in difesa della fazione filosovietica, sono affiorati su Internet numerosi selfie che ritraevano i soldati russi su suolo ucraino.

Un altro paese che si aggiudica il podio per la negazione del diritto all’informazione è la Turchia, dichiarata da Reporters without borders un paese senza libertà di opinione. Tutti i giornali e i media turchi sono di proprietà dello Stato, che li ha affidati ad imprenditori vicini al regime. Più di 500 giornalisti sono stati licenziati e l’arresto per diffamazione è diventato all’ordine del giorno. Tra la fine del precedente governo e l’inizio della dittatura di Recep Tyyip Erdogan si è visto uno spiraglio di libertà, una finestra che si è aperta al mondo esterno ma –chiarisce Kadri Gursel, giornalista turco di El Monitor che ha tenuto il pannel discussion- l’aria fresca è durata poco. La differenza tra vecchia e nuova Turchia sta nella responsabilizzazione dei media intesa come la concentrazione di questi sotto una sola bandiera. Per quanto il numero di giornalisti uccisi sia in netto calo rispetto agli anni novanta questi dati non decretano l’esistenza della libertà di espressione e di stampa nel paese. A testimonianza di ciò, al banco dei relatori era presente Canan Coskun, una giornalista che per essersi esposta contro il regime rischia una condannata a 26 anni di carcere. Ad aggravare la già drammatica situazione, che vive l’informazione in Turchia, è sopraggiunta la censura di pagine internet e l’estrema lentezza della rete: per un determinato periodo Erdogan aveva, persino, proibito l’accesso a Twitter, che non è rimasto indifferente alla cosa, promuovendo una campagna di denuncia contro l’oscurantismo del governo turco. Tuttavia, anche in questo caso, il popolo, farcito di menzogne dai media, ignora il problema: in un momento di minata sicurezza nazionale in Turchia la libertà di stampa e informazione appare essere, e tale la fa passare il regime, l’ultimo dei problemi.

Ma come viene contrastata la censura, la negazione del diritto al sapere e alla libera espressione?

Sembra assurdo che una speranza di libertà arrivi da una zona, oggi più che mai, sotto assedio, la Siria.

Sono molti i giovani siriani che cercano di fare respirare il proprio Paese attraverso il web. In Siria esiste, infatti, una forte attività giornalistica locale che è una grande risposta alla disgregazione religiosa, etnica e sociale che domina il territorio. Un esempio importante lo forniscono i ragazzi di Good Morning Syria un’esperienza di giornalismo locale che parte da Aleppo travalicandone i confini geografici e politici. Sul sito vengono pubblicate foto amatoriali e semplici che mostrano la quotidianità della vita in Siria. Tralasciando gli affari politici, questi giornalisti documentano e raccontano ciò che i media omettono per dare speranza al popolo siriano. In un paese frazionato, in cui i bambini cantano e inneggiano alla distruzione della città nemica, Good Morning Syria unisce persone di etnie e religioni differenti che lottano insieme per la stessa causa: la pace.

Dispatches from Syria è il blog di Marcell Shehwaro, attivista siriana che racconta cosa significhi vivere sotto il regime di Bashar Al-Assad.

Marcell scrive per ispirare gli altri, specialmente le donne, e per spronare a reagire. Quando le chiedono quale sia il problema più grave in Siria se l’Isis o il regime, lei risponde con un’ironica vignetta:

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Non smette di crederci e di sorridere, non è facile essere donne in Siria, non è facile superare tutto quello che si propone ogni giorno davanti dagli occhi, non è facile convivere con la morte.

Raqqua is being slaughtered silently è la forte testimonianza di due ragazzi di Raqqua, città siriana tristemente nota per essere la roccaforte dell’Isis.

Abdalaziz Alhamza e Hussan Eesa sono i nomi di due tra i creatori della pagina Raqqua is being slaughtered silently, unico occhio per il resto del mondo su questa città. La loro battaglia è iniziata del 2014 quando, per la prima volta, hanno lanciato una campagna per mostrare al resto del mondo come sia la vita sotto l’Isis, il regime di Assad e i bombardamenti della Russia da un parte e della Commissione internazionale dall’altra.

A proposito di questo, Abdalaziz tiene a precisare, attraverso un grafico, che, contrariamente a quanto si pensi l’Isis non è l’unico né il più grave problema per gli abitanti di Raqqua.

Raqqua is beings laughtered

Dal grafico risulta evidente che il numero più alto di caduti sia dovuto al regime, seguito dai bombardamenti russi e via a scendere per i gruppi terroristici e la Commissione internazionale.

A Raqqua oggi non c’è una rete mobile e la maggior parte degli Internet Cafè sono stati chiusi. A Raqqua oggi non c’è acqua, cibo e nessuna possibilità di guadagno. Queste sono tutte condizioni poste dall’Isis per potere reclutare seguaci, principalmente bambini, che incantano con giochi e regali. Fenomeno sempre più diffuso che Raqqua is being slaughtered silently combatte con forza, avvertendo continuamente la popolazione del costante pericolo. Il sito, infatti, è stato creato anche allo scopo pratico di monitorare quanto accade e comunicare numeri e nomi dei caduti per mano delle diverse forze che dilaniano la città.

Abdalaziz e Hussan, che ora vivono da latitanti in Europa, ci raccontano che inizialmente a lavorare al sito erano in dieci ed ora sono rimasti in sei. Davanti alla morte non si sono fermati ma stanno ottenendo sempre più collaboratori tra gli abitanti di Raqqua, che rischiano la vita per mandare testimonianze foto e video. Infatti, nonostante il libero accesso al web e ogni comunicazione con l’esterno siano vietate, i ragazzi di Raqqua is being slaughtered silently riescono ad inviare informazioni attraverso siti e applicazioni criptate.

“Per noi Raqqua non è la capitale dell’Isis ma della resistenza”, queste sono le parole con cui questi due ragazzi chiudono la conferenza. Raqqua is being slaughtered silently continua la sua resistenza con l’arma della parola, lottando contro la negazione di ogni diritto e possibilità di espressione.

Raqqua is beings laughtered

Il web, come è emerso da queste importanti testimonianze, è il mezzo più efficace per l’informazione e il campo di battaglia più grande mai esistito per la guerra all’ oppressione, temuto più di ogni altro da governi e regimi.

In riferimento a quanto detto è interessante, come ultima, gettare un occhio sull’ Italia, dove vige assoluta libertà di pensiero e opinione.  Purtroppo la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda il diritto all’ informazione; infatti, secondo dei recenti sondaggi il nostro Paese ricopre appena il novantasettesimo posto (su centodue) per la trasparenza della Pubblica Amministrazione. Questo dato, che può apparire poco rilevante, è, invece,fondamentale dal momento in cui limita la libertà di stampa e quindi di espressione, essendo la conoscenza il primo passo verso la libertà.

Credo, in conclusione, doveroso segnalare i link dei siti citati per potere sostenere, attraverso la pagina facebook, gli sforzi di questi giornalisti che denunciano con coraggio l’ostruzionismo dei loro paesi, l’assoluta negazione all’ informazione e al libero pensiero, che per qualcuno coincide con la negazione del diritto alla vita.

Link:

http://www.goodmorningsyria.org/home/

https://globalvoices.org/specialcoverage/dispatches-from-syriamarcell-shehwaro-on-  life-in-aleppo/

http://www.raqqa-sl.co/en/

FB: https://www.facebook.com/Raqqa.Sl/?fref=ts

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