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Mona Hatoum alla Tate Modern. Trent’anni di carriera in una grande mostra

Mona Hatoum, Hot Spot III, 2009, ph. Agostino Osio, Courtesy Fondazione Querini Stampalia Mona Hatoum, Hot Spot III, 2009, ph. Agostino Osio, Courtesy Fondazione Querini Stampalia
Mona Hatoum, Hot Spot III, 2009, ph. Agostino Osio, Courtesy Fondazione Querini Stampalia
Mona Hatoum, Hot Spot III, 2009, ph. Agostino Osio, Courtesy Fondazione Querini Stampalia

Alla Tate Modern di Londra ha inaugurato da qualche giorno la prima retrospettiva in terra britannica dedicata a Mona Hatoum. Il momento storico non poteva essere più azzeccato per l’artista nata a Beirut nel 1952 da genitori palestinesi – naturalizzata a Londra dal 1975, l’anno in cui in Libano cominciò la guerra civile – che da decenni ragiona sulla complessità e la fragilità della geografia del mondo contemporaneo, interrogandosi sul significato mutevole di identità nella società odierna, attraverso opere ora stranianti, ora poetiche, ora minacciose.

La grande mostra ripercorre la carriera trentennale dell’artista, presentando al pubblico un centinaio di lavori, compresi i video degli anni Ottanta, quando una giovane Hatoum agli esordi faceva performance per denunciare le costrizioni e i condizionamenti imposti all’individuo dalla società. Ne è un esempio Roadworks (1985), che documenta di quando l’artista camminò scalza per le strade di Brixton con un paio di stivali legati alle caviglie: il passo pesante a manifestare una libertà incompleta, un’oppressione latente, un controllo a cui non si può fuggire.

Mona Hatoum, Measures of Distance, video, 1988, Courtesy Tate
Mona Hatoum, Measures of Distance, video, 1988, Courtesy Tate

Delle prime grandi installazioni di Mona Hatoum degli anni Novanta, la Tate mostra un’ampia selezione. Tra queste, Sentence (1992) una struttura composta da una serie di gabbie metalliche, con una lampada al centro che proietta sulle pareti inquietanti ombre, conferendo allo spazio espositivo l’aspetto claustrofobico di un luogo di detenzione. In mostra anche Corps étranger (1994), un video-ambiente concepito come un viaggio endoscopico nel corpo dell’artista; mentre Present Tense (1996) si presenta come un tappeto di oltre 2mila panetti di sapone all’olio d’oliva, prodotti a Nablus, a nord di Gerusalemme, su cui è tracciata la mappa controversa dei confini tra Israele e Palestina, secondo quanto stabilito dagli Accordi di Oslo del 1993.

Negli anni, Mona Hatoum ritorna più volte sul tema della carta geografica, per ribadire quanto le barriere – fisiche, politiche o culturali – siano instabili e pericolose: tema quantomai attuale. La segregazione accresce l’odio e i confini generano conflitti, sembra avvertire Hot Spot III (2009), più che un mappamondo, una gabbia sferica su cui i continenti sono delimitati da luci rosse al neon.

Mona Hatoum ci ricorda che quello che stiamo costruendo è un pianeta sempre più inospitale, dove anche un oggetto familiare può assumere sembianze aggressive e disturbanti (Grater Divide, 2002) così come l’ambiente casalingo diventare un campo ad alta tensione per nulla rassicurante (Homebound, 2000).

La mostra resterà visitabile al terzo piano della Tate Modern sino al prossimo 21 agosto.

Mona Hatoum, Roadworks, Performance Stills, 1985-1995, ph. Edward Woodman, Courtesy White Cube
Mona Hatoum, Roadworks, Performance Stills, 1985-1995, ph. Edward Woodman, Courtesy White Cube
Mona Hatoum, Over My Dead Body, 1988, Courtesy the artist
Mona Hatoum, Over My Dead Body, 1988, Courtesy the artist
Mona Hatoum, Undercurrent (red), 2008, ph. Stefan Rohner, Courtesy Kunstmuseum St. Gallen
Mona Hatoum, Undercurrent (red), 2008, ph. Stefan Rohner, Courtesy Kunstmuseum St. Gallen

INFORMAZIONI UTILI

Mona Hatoum

sino al 21 agosto 2016

Tate Modern, Level 3 West

Bankside, Londra

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