Julieta, Pedro Almodovar ritorna in grande stile con un dramma, ovviamente, tutto al femminile.
Julieta, presentato in concorso a Cannes 2016, segna il ritorno in sala di Pedro Almodovar dopo Gli amanti passeggeri (2013).
>> La protagonista, Julieta, è una madre che da 12 anni non ha notizie di sua figlia, Antía. L’incontro con un’amica d’infanzia di Antía scatena in Julieta un mare di ricordi che la donna non riesca più ad arginare, decide quindi di scrivere una lunga lettera in cui racconta la propria storia.
Nella parte della protagonista due attrici: Emma Suárez e Adriana Ugarte; la prima dà il volto alla Julieta matura e l’altra alla Julieta che rivive nella rievocazione dei ricordi. Entrambe le attrici riescono a fornire una performance complessa e delicata, accompagnando lo spettatore in un viaggio che passa dalla passione al dolore, dalla depressione alla rinascita, in una ricerca sempre volta all’illusione della completezza.
Dopo La pelle che abito (2011), tratto da Tarantola di Thierry Jonquet, il regista spagnolo torna a una matrice letteraria; Julieta prende vita da tre racconti di In Fuga, una raccolta di Alice Munro. Almodovar sposta l’azione dal Canada alla Spagna, dove riesce a muoversi con più dimestichezza, e crea un unico racconto, coerente e fluido, costruendolo come un mosaico di ricordi. Proprio come Julieta che ricompone, pezzo per pezzo, una vecchia foto strappata che la ritrae con Antía, conservata in una busta blu come un tesoro prezioso ma maledetto. Da buttare? Da conservare gelosamente?Quella di Almodovar è la filmografia di un autore, e come noto gli autori sono soliti (ri)fare sempre lo stesso film, in questo sta parte della loro genialità (laddove ve ne è).
La genialità di Pedro sta nella formula sulla quale ha basato tutto il suo cinema; un triangolo fondato sul rigore del melodramma e del noir hollywoodiano anni ’50 e ’60 (Douglas Sirk, Hitchcock, Wyler), l’estetica mediterranea e la cultura queer. Al centro, protagoniste, le donne: muse, icone, dive, madri, figlie, vittime e carnefici. I meccanismi e le lolgiche della passione come collante. Tutto su mia madre, Tacchi a spillo e Donne sull’orlo sulla crisi di nervi alcuni tra gli esiti più famosi e fortunati di questa ricetta.
Anche in Julieta ritroviamo tutti gli ingredienti del ricettario.
Il rosso vermiglio c’è, il blu cobalto anche. Ritroviamo le carte da parati anni 70 e, con grande gioia, Rossy de Palma – in un personaggio che sembra una citazione diretta (o un omaggio) all’arcigna Mrs. Danvers di Rebecca la prima moglie. Torna Madrid e torna il mare, inteso come elemento da attraversare, come luogo epico del viaggio, una via di passaggio – πόντος. Un mare in cui perdersi, monito dell’ignoto che incalza e custode del dolore.Questo Almodovar, in netta ripresa rispetto a Gli amanti passeggeri (disastroso), sembra voler riprendere le redini della propria poetica continuando la strada intrapresa con Volver e Gli abbracci spezzati: la via della memoria, in un declivio che si colloca in bilico tra la nostalgia e l’indulgenza del ricordo. Ritroviamo un autore che ha perso l’energia dirompente che dagli esordi ha caratterizzato tutta la sua produzione: viene meno il carattere barocco -sia nella messa in scena che nella scrittura- ma non il rigore della narrazione, una sintesi formale tutta a favore di una nuova delicatezza.
Julieta è un film fatto di mancanze che si rincorrono, in una mosaico di ricordi. Spazi vuoti che si completano nella contemplazione della perdita, che si essa di un amore, di una speranza, di un’occasione o di una figlia perduta. Il tempo e i sentimenti si inabissano per poi riemergere, impossibili da fermare, come una marea. È un film fatto di cesure da risanare in cui incombe, come un’ombra scura, il peso del tempo che passa.A sottolineare le ombre cupe e la suspense del drama ritroviamo le musiche composte dal fedele Alberto Iglesias che riportano alla memoria -forse in maniera un po’ fuorviante- il filone damsel in distress (Angoscia di George Cukor, Donne e veleni di Douglas Sirk, Il terrore corre sul filo con Barbara Stanwyck, ma anche Psycho di Hitchcock).
Pedro Almodovar con Julieta si conferma quindi un autore di razza, che invecchiando è diventato forse più meditabondo, ma non per questo meno affascinante, non stupisce più ma regala ancora quell’incertezza necessaria per turbarci.