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Hood, Reini, de Jong. Valori in plexiglass, visioni psichedeliche e icone violate

Folkert de Jong, Power Generator, 2014 Folkert de Jong, Power Generator, 2014
Folkert de Jong, Power Generator, 2014
Folkert de Jong, Power Generator, 2014

Tre artisti, tre diverse indagini, tre differenti sguardi sul mondo, quelli ospitati a partire dal 18 maggio negli spazi della Brand New Gallery a Milano. Fino al 22 giugno le opere di Folkert de Jong, Chris Hood e Zach Reini si susseguono nelle due gallery espositive in Via Farini 34. Se tre sono gli artisti, molteplici -invece- sono le forme, le luci, i colori, i materiali e le simbologie all’origine di sculture e tele esposte.

Ad accoglierci nelle prime due sale c’è Folkert de Jong, olandese di nascita, che porta in scena il delicato equilibrio tra la vita e la morte, tra l’ordine e il caos, tra l’umanità e l’eroismo. Tutti elementi perfettamente bilanciati nell’opera-archetipo dell’esposizione dal titolo “And Nothing But The Truth”. Trattasi di una scultura di grande impatto ideata a partire dal reportage fotografico di Cornelis Mooij, vincitore del World Press Photo del 1974, che testimoniò la morte del pilota Roger Williamson durante una gara di Formula Uno. L’opera però rende omaggio al compagno David Purley, che tentò invano di salvare la vita a Williamson: il corpo di Purley giace in posizione di abbandono totale alla rassegnazione e al senso di colpa, evocando così alcuni dei temi chiave dell’opera di De Jong: la vulnerabilità, la colpevolezza, l’ineluttabilità del corso naturale della vita più forte di qualsiasi barriera di protezione.

Tutte le opere in mostra di De Jong giocano sull’accostamento di elementi opposti -una testa di uomo barbuto ispirata alla statuaria classica e una testa di pupazzo in Cold Fusion– o semanticamente associabili -strumenti tecnologici e mezzi di comunicazione in Beta Station- o completamente metaforizzati -una folta ciocca di capelli rossi che evoca il divampare del fuoco in Immortal Longings. Tutte le opere, però, comprendono un elemento costante e sempre presente come un presagio: l’idea della morte, sia essa palesemente manifestata da un teschio o celata nel corpicino di una creatura composto da kalashnikov assemblati (When A meets ZX).

Folkert de Jong, Immortal Longings (The Burning of Roger Williamson, Zandvoort Formula One 1973), 2016
Folkert de Jong, Immortal Longings (The Burning of Roger Williamson, Zandvoort Formula One 1973), 2016

Folkert De Jong lavora principalmente con materiali isolanti, come poliuretano, polistirolo e plastiche colorate, portando avanti una precisa ricerca cromatica che punta su colori brillanti e illuminati al neon. La scelta di sigillare le sculture in teche di plexiglass esprime il grande interesse dell’artista per lo sviluppo della museotecnica nella storia dell’arte nonché per il significato intrinseco delle teche come strumento di conservazione di un corpo per garantirne l’immortalità.

L’esposizione prosegue con le opere di Chris Hood, artista di Atlanta trapiantato a New York, profondamente legato al concetto di “spazio”: spazio inteso come una sorta di luogo intermedio mobile, vivo, dotato di una propria anima, che riunisce in sé tutte le cose e collassa contemporaneamente verso l’interno e l’esterno.

Nel lavoro di Chris Hood, le tecniche tradizionali si mescolano alle influenze del mondo digitale per generare esperienze artistiche che tendono sempre ad una dimensione surrealista e psichedelica. Strumenti imprescindibili per Hood sono l’umorismo e i linguaggi gergali: l’artista vi ricorre spesso per far confluire all’interno del medesimo spazio immagini provenienti da vasti canali di comunicazione, come la sottocultura americana, la storia dell’arte e i mass-media, trasponendole poi sulla tela in forma astratta.

Chris-Hood, Pain in Vain, 2016, 180x135cm
Chris-Hood, Pain in Vain, 2016, 180x135cm

L’ultima parte del percorso espositivo è dedicata a Zach Reini, un artista multidisciplinare di Denver (Reini è pittore, scultore e musicista), le cui opere qui esposte rappresentano lo smascheramento a colpi di taglierino delle icone culturali dell’immaginario americano odierno.

Estremamente interessante il concetto di “icona”, che per Zach Reini rappresenta qualcosa di attraente, che tende a sedurre le persone. Gran parte del lavoro di Reini si rifà al saggio di Hito Steyerl “In difesa dell’immagine povera” che prende in esame la riproduzione dei fotogrammi digitali, considerati appunto “immagini povere” di infima categoria rispetto alle immagini originali e quindi visti come forma di resistenza al diritto d’autore

Zach-Reini,-Black-Magic,-2015
Zach-Reini,-Black-Magic,-2015

L’artista sceglie un approccio minimale che si esprime attraverso il ritaglio di porzioni della tela e una selezione cromatica molto limitata: predominano il bianco e il nero, colori puri e maestosi che favoriscono una lettura pulita e diretta delle opere nel loro significato più sincero, impedendo qualsiasi associazione spontanea possibile tra cromie e stati d’animo.

Le opere di Reini mirano così a sviscerare il simbolismo di determinate icone -nella fattispecie alcune figure tradizionali della cultura popolare americana come Topolino– ricodificandone il valore e rendendole caricaturali, sinistre e lascive, prive insomma di quell’innocenza di cui la cultura americana si ritiene detentrice.

Un’altra importante fonte d’ispirazione per Reini è rappresentata dal critico russo Bachtin, ideatore del concetto di corpo grottesco, qui applicabile all’interno di un immaginario legato all’innocenza: la creazione di finestrelle e sagome ritagliate sulla tela, offre la visuale su un secondo livello nascosto, rivelando infine la rappresentazione intrinseca, o immagine povera, latente oltre l’icona violata.

Zach-Raini,-Harlequin,-2015
Zach-Raini,-Harlequin,-2015
Chris-Hood, Eyes on the Sky, 2016, 180x135cm
Chris-Hood, Eyes on the Sky, 2016, 180x135cm

PER TUTTE LE INFORMAZIONI

La selezione di opere di Chris Hood e Zach Reini porta la firma del giovane curatore Domenico De Chirico

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