Per il maschio marca male. Non ci pensano solo le donne a fare muro contro la prevaricazione, da Emma a Beyoncé. L’assist clamoroso arriva da Renato Zero, mercoledì, nella prima delle tre serate all’Arena di Verona. E le sue parole, <cari maschietti come siete diventati violenti, come mai non riconoscete alle donne quello che meritano, è perché vi hanno superato?>, suonano ancora più dure dopo l’omicidio di Sara Di Pietrantonio, la ragazza romana vittima nel modo più barbaro dell’ex fidanzato.
Le canzoni nascono raramente dalla cronaca e Zero ha questi pensieri da tempo, lo spiega anche nell’ultimo album “Alt”. Ma le circostanze hanno voluto che i dodicimila fans sotto la pioggia si sentissero ancora più coinvolti. E basterà attendere la messa in onda del concerto su Raiuno, la data è ancora top secret, per estendere alcune idee guida del cantautore a quella che poi è la sua platea più congeniale: un Paese tradito, dove le persone comuni, anche quelle che si sono battute in questi anni per affermare la propria identità sessuale, non hanno voce.
Ora, pensare di raccogliere tutto questo nella durata monstre di tre ore e mezza di show, replicato ieri e in programma oggi, è tipico di una concezione da Hollywood sul Tevere che Zero deve aver imparato da ragazzo. Esattamente come registi e artigiani di Cinecittà disegnavano il perimetro per grandi produzioni straniere, Zero lo fa la sua musica, le redingote bianca e nera abbellite da una sciarpa di seta, i passi precisi ma misurati perché la voce, ancora potente, non deve venir meno per troppa ginnastica.
Insomma, i nostri sgambettano poco, mentre gli stranieri si prodigano molto di più. Ma noi, evidentemente, pensiamo sempre di avere qualcosa da chiarire al Paese reale, quello invocato anche da Fiorello su Sky in queste mattine, con la differenza che lui ha idee piuttosto confuse, Zero invece ha cardini d’acciaio, una visione realistica dei problemi che, visti gli applausi a scena aperta, toccano per primi i suoi fans.
Ancora sul maschio, Zero affonda: <C’è molta tristezza perché l’uomo, ch’è stato gladiatore, che ha scoperto la bellezza delle piramidi, è stato prima di tutto un Noè. E oggi ha un triste destino: abbandonato a ferragosto dalla famiglia su una panchina. Altro che Arca di Noè, quella è l’arca della solitudine>. Dove vuole andare a parare Zero, che paragona gli italiani <alle formiche, infaticabili ma non se ne accorge nessuno, nemmeno il Parlamento che rappresenta i bisogni di tutti e allora meglio la cicala, perché almeno ritroveremmo l’abitudine a combattere…>?
Se uno tira una riga, sulla scaletta, da “Figli della guerra” a “In apparenza”, “Voyeur”, “Cercami”, “Gesù” e “Gli anni miei raccontano”, sino a “I migliori anni della nostra vita”, si accorge che Zero è in qualche modo contiguo a Pasolini. E che anche le dichiarazioni più a effetto, <siamo in guerra con un mondo ostile che male accetta la poesia…>, non sono affatto populiste, ma arrivano in un secondo al pubblico perché sono sagge e pragmatiche senza essere, per forza, antipolitica o anarchia sbrigativa. Accompagnato da Neri per Caso, che si sono autoprodotti il nuovo disco, Zero raggela i discografici <che ormai pelano patate e fanno puré scadenti con le loro compilation…>.
Ci sono due momenti, invece, in cui le canzoni non devono ammonire né insegnare, ma semplicemente ricordare le basi della convivenza: il primo è con Emma, in stato di grazia, quando a “Spiagge” segue l’omaggio a Gabriella Ferri in “Per sempre”; l’altro è con Francesco Renga, impeccabile nel duetto con Zero in “Amico”. C’è l’orchestra diretta da Renato Serio e c’è la grande scenografia da serata televisiva. Ma i fans sembrano non accorgersene: o sono cresciuti con Zero o ne hanno condiviso l’esodo dalla prigione dell’omofobia o ne stanno imparando l’alfabeto. Forse non sanno a memoria le nuove canzoni, ma la condivisione è totale.
Per gentile concessione de Il Secolo XIX (03.06.2016)