Confine è la mostra inaugurata il 29 giugno presso la Miart Gallery di Milano dedicata ad uno dei pionieri del Graffiti Writing italiano, KayOne. Confine è la linea su cui si è sviluppato il percorso dell’artista: il Confine tracciato tra l’arte e la strada che viene superato quando l’artista, attraverso la rielaborazione del suo bagaglio artistico, entra in uno spazio espositivo come la galleria d’arte.
KayOne comincia a dipingere in strada all’età di 15 anni, nel 1988. È considerato un pioniere del Writing in Italia quando il Graffitismo era un fenomeno principalmente americano. La sua attività ha inizio quando i writer italiani erano ancora degli sconosciuti ma vivevano l’elaborazione di una ricerca all’avanguardia in cui la strada è l’elemento d’ispirazione principale. Nel 1991 KayOne fonda Hip Hop Tribe Magazine che costituì il primo mezzo di diffusione del movimento.
Il linguaggio su muro è legato alla tradizione old school che basa la ricerca sulla lettera, che si rifà allo stile dei pionieri di New York. L’artista ha promosso diverse iniziative per incoraggiare la cultura del Graffiti Writing. Le opere su tela invece, s’ispirano maggiormente ad un linguaggio astratto consolidato nella storia dell’arte, ma combinato allo spirito della strada rimasto indelebile nell’anima dell’artista. KayOne ha esposto recentemente al Museo della Triennale, alla 54ª e 55ª Biennale di Venezia e al Grattacielo Pirelli.
Cosa significa far entrare la tua arte dalla strada in galleria?
Il mio lavoro su strada e quello all’interno di una galleria sono due momenti diversi. Ho iniziato nel 1988 a fare graffiti nella strada, nel contesto in cui il Graffitismo e la Street Art devono rimanere. Nel mio percorso, le forme di espressione e i linguaggi che volevo usare sono distinti rispetto al mondo in cui mi sono formato. Il background che mi sono creato in questi anni è servito a mostrare quelli che sono i contenuti delle mie opere: dei piccoli frame presi dalla strada, decontestualizzati e inseriti in spazi diversi su supporti diversi. Quello che ho fatto è stato trasportare su tela quello che avevo visto nei graffiti: una grande forza e un impatto visivo carico d’energia.
Quanto ha inciso il Graffiti Writing americano sulla definizione del tuo linguaggio?
Il Graffiti Writing è nato a NY su dei treni in movimento e quello era già una rivoluzione. Quello che ho cercato di fare è decontestualizzarlo e metterlo in situazioni diverse. Invece di citazioni provenienti da quel contesto, ho cercato di elaborare quella energia della strada. Ho combinato questa forza con linguaggi propriamente italiani e americani: l’action painting di Pollock, il decollage di Rotella e la Pop Art. Questi hanno costituito la base di quello che ho realizzo su tela. Ho cercato d’ispirarmi, ma senza essere vittima, di altri artisti, cercando di creare un mio tipo di linguaggio e di espressione su tela.
Attraverso la performance di oggi qual è il messaggio che vuoi inviare? L’arte della strada si sta appropriando di uno spazio tutto suo nel mondo istituzionale dell’arte?
Sulle vetrine della Miart Gallery, ho cercato di far vedere da dove sono partito. I soggetti principali sono le lettere, elementi caratterizzanti del graffitismo. Queste una volta evolute, diventano illeggibili e si trasformano in Wild Style!
Come interpreti l’evoluzione del linguaggio degli Street artist e dei Writer dagli esordi ad oggi?
Nella forma contemporanea della Street Art il linguaggio è diversificato, senza un cuore centrale. Il graffitismo si era inventato sostanzialmente una nuova forma di espressione ed esposizione. Con la Street Art attuale, si è ritornati in molti casi al decorativismo che non fa parte invece di quella parte anarchica e rivoluzionaria che c’era nel Writing. I Writer prima rubavano i loro spazi. Attualmente, invece, gli street artist operano in larga misura su commissione o in luoghi in cui è concesso loro operare. Niente di male in questo, ma si è perso molto di quel sapore che fa parte della strada.
Cosa significa per te Writing e Street Art?
Per me la parola “Street” non vuol dire lavorare per la strada come contesto ma come sapore. Se lavori sulla strada e porti su muro le illustrazioni elaborate a casa non è fare Street Art. Essere street artist significa mantenere quello spirito rivoluzionario e innovativo. Il Writing nasce per affermazione personale quando i giovani del Bronx di NY realizzavano opere per emergere e uscire dalla loro realtà e anonimato. Se invece s’interrompe questo tipo di meccanismo, per cui tutto diviene per forza legale, si perde lo spirito stesso di fare writing e street art. Queste diventano poi un’espressione di un qualsiasi artista o illustratore che prende un pennello, va per strada e fa una decorazione. Non è la stessa cosa.
Molti writer cercano di rimanere fedeli al loro mondo e alla mentalità della crew (come il volto coperto e l’operare in luoghi dove il linguaggio è nato). Tu come ti poni rispetto a questo atteggiamento?
Per ogni tipo di espressione esistono delle stagioni della vita. Quando io ho iniziato a 15 anni ho vissuto il Writing come andava vissuto. Ho fatto i miei lavori sulla strada, e non solo, nel momento in cui andavano fatti. La mia forza che al tempo si esprimeva dipingendo un treno, adesso si esprime lavorando su superfici come le tele. È un diversificare la tua energia, che chiaramente si abbina al tuo momento della vita, cambiando ma rimanendo identica allo stesso tempo.
Qual è il confronto tra il tuo passato artistico e la fase attuale?
Non siamo stati dei geni. Abbiamo importato in Italia quella cultura americana, ed è già stato tanto. Intercettare certe informazioni senza internet è già tanto. Per quanto riguarda le opere su tela esse rappresentano la mia vita su un altro tipo di supporto. Spero di trasmettere ugualmente la mia forza espressiva anche se con mezzi diversi.
Informazioni utili:
Confine. Mostra personale di KayOne
MIART GALLERY, Via Brera 3, Milano
dal 29 giugno al 12 luglio 2016, ingresso libero
www.kayone.it