Sette Stagioni dello spirito, sette installazioni ambientali, sette momenti di riflessione e azione di un progetto unico nel suo genere che l’artista Gian Maria Tosatti (Roma, 1980), ha dedicato alla città di Napoli e ai suoi abitanti.
>>> Sette Stagioni dello Spirito è il titolo scelto per questo cammino a più tappe, diluito nel corso di ben tre anni (2013-2016), che ha trovato casa in alcuni luoghi abbandonati della città, nascosti, sospesi sotto il velo della polvere del passato. New York era la sua residenza precedente, eppure l’artista ha dovuto attraversare l’oceano per trovare qualcosa che forse solo Napoli poteva dargli in maniera così puntuale.
“Napoli mi ha insegnato ciò che volevo, quali sono i limiti del bene e del male nell’uomo e tutto ciò che c’è nel mezzo” (L’arte è partigiana, Elio di Pace, 2014)
L’uomo è il punto di partenza di questo percorso artistico (quasi iniziatico), il suo essere e il suo agire, la conoscenza o consapevolezza che ha di sé. Ogni tappa è un differente e nuovo passo in avanti nel raggiungimento della propria anima, proprio come il processo di elevazione spirituale narrato nel Castello Interiore di Santa Teresa D’Avila, scritto nel 1577, e che ha profondamente ispirato Tosatti. Il testo nasce dalla volontà della Santa di aiutare anzitutto le sue sorelle carmelitane, nella conoscenza della condizione umana e della bellezza della propria interiorità. Così Teresa utilizza un splendida metafora, paragonando l’anima ad un castello fatto di sette stanze, al centro del quale risiede Dio, raggiungibile per mezzo della pratica della preghiera. Sembra un gran paradosso quello di non saper accedere a qualcosa che risiede già in noi stessi, eppure non è una condizione così rara.
“ […] perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, là dove sostano le guardie, senza curarsi di andare più innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l’abiti, né quali appartamenti contenga.”(Santa Teresa D’Avila)
Per descrivere proprio questo abitare ai margini del Castello, Gian Maria Tosatti predispone nella Chiesa dei SS. Cosma e Damiano di Napoli la prima di queste sette stagioni:
1_LA PESTE (2013) Chiusa dalla Seconda Guerra Mondiale e riaperta in occasione dell’installazione, la chiesa ha sempre fatto da sfondo agli scugnizzi che giocano a pallone nella piazza antistante, Largo Banchi Nuovi. Una piazza sporca, appestata, ma così vicina al cuore di Napoli. Un male fisico la peste, raccontataci da Boccaccio o Manzoni, ma che diventa in questo caso analogia dell’inconsapevolezza, di un male morale che attacca lo spirito. Sul portale della chiesa, delicatamente ricoperta da una colatura di cera, il numero uno si staglia dorato, come l’indizio da seguire, la voce che ci invita ad entrare in un ambiente che tutto sussurra di precarietà.
Peggiore dell’inconsapevolezza, c’è forse l’inerzia, quella fisica, ma soprattutto morale; una forza che fiacca l’uomo, il quale non agendo nel bene, ma nemmeno nel male, ristagna in una condizione di immobilità. Sembra questo il succo estrapolato dalla seconda installazione site-specific all’Ex Anagrafe Comunale di Napoli: 2_ESTATE (2014). Ben più di un luogo fisico, esso è un archivio della memoria e dell’identità di tutti i napoletani dal 1809 ad oggi. Le stanze si percorrono in solitaria, si lasciano attraversare in silenzio, tra file di banchi vuoti, plichi di carta, documenti sparsi, grembiuli appesi. Un luogo fisico in decadimento, che riproduce nelle intenzioni dell’artista, il decadimento stesso del corpo dello Stato repubblicano (manchevole di slancio in avanti), composto da ogni singolo cittadino, che risulta anch’esso in pericolo.
Il numero 3_ come LUCIFERO, il 4_ come RITORNO A CASA. Il primo, maestoso ambiente degli Ex Magazzini Generali del Porto di Napoli, introduce l’uomo alla presenza del Male per eccellenza, Lucifero, appunto, l’entità che induce in tentazione, angelo ribelle che desidera ardentemente avere lo stesso potere di Dio. Lucifero è anche colui che permette l’esistenza del libero arbitrio, un dono per l’uomo che è così messo nella condizione di poter decidere. Un rapporto tra bene e male, luce ed ombra, che porta il visitatore nel più immondo dei luoghi, l’Inferno. E’ anche vero però che il concetto di peccato fa riflettere su quello del riscatto, di salvezza. Così si esce metaforicamente dal centro della terra per risalire in superficie.
Ritorno a casa si svolge nell’ex Ospedale Militare di Napoli, all’interno di uno dei complessi abbaziali più antichi della città, arrampicato sul quartiere di Montecalvario, il complesso della Santissima Trinità delle Monache. L’ambiente è trasformato in un luogo di attesa, il perdurare di un lungo momento di quiete, un piano orizzontale di solitudine tremenda, anche se ci sono segni di storie umane nelle stanze che si susseguono. Nel momento di sospensione lo spettatore, lasciato solo, non può far altro che prendere coscienza di sé, riflettere sui propri limiti e raccogliere la forza necessaria per intraprendere il cammino di salvezza.
5_I FONDAMENTI DELLA LUCE (2015) ha avuto nell’ex reclusorio di Santa Maria della Fede (quartiere di Sant’Antonio Abate) il suo svolgimento. A stimolare Tosatti, una lettera scritta nel giorno di Natale da Paolina T. , una donna vissuta all’inizio del secolo scorso. Una ragazza sfortunata rea, per i suoi tempi, di essere povera e omosessuale e per questo rinchiusa nel manicomio di Sant’Antonio Abate a Teramo, con la diagnosi di “immoralità costituzionale”. Il complesso della mostra, pur non essendo il luogo della storia in questione, condivide tuttavia la medesima atmosfera di reclusione, essendo stato destinato in seguito ad ospitare un ritiro di sole donne, per volere di Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo III di Borbone, e in ultimo ospedale per prostitute. Solo in tempi recenti, l’edificio è ritornato a nuova luce grazie all’impegno di un comitato di quartiere che si è battuto per salvare e ridare questo spazio storico alla città. Si definisce quindi il carattere di quest’opera, sospesa fra spirituale e politico. Metafora sulla luce che splende nel fondo dell’uomo e che non si spegne nemmeno nei momenti più cupi, ma anche di riscatto collettivo e sociale.
6_MIRACOLO (2015). Non un vero e proprio Paradiso, ma qualcosa di simile, quello allestito da Gian Maria Tosatti nel locale a pian terreno in Via delle Zite 40, nel cuore del rione Forcella. Perché l’opera, creata per la penultima tappa, è in realtà una possibilità di Paradiso, e per giunta manifestabile in qualsiasi luogo. Un edificio questa volta “profano”, un ex fabbrica di vetro e poi di borse, un luogo di lavoro insomma, che si teme quasi di attraversare, poiché la serranda è crivellata di colpi d’arma da fuoco. Una volta varcata però si ammira il miracolo compiuto: adulti, bambini, habitué e visitatori accidentali hanno portato le loro vite e le loro storie, i loro desideri e le loro azioni dando vita ad una performance collettiva, un’ azione corale volta a far del bene. Il bene, nelle seste mansioni descritte da Santa Teresa D’Avila è ciò che l’anima desidera di più. Non che perseguirlo non comporti delle difficoltà: è stato necessario infatti pulire, curare, sanare le ferite di questo luogo vilipeso. Per cui l’opera è stata fatta dalle persone, che hanno modificato con le proprie mani e con azioni semplici la loro realtà, investendola di un significato in più, in definitiva positivo.
“[…]arrivati alla settima mansione, dove non si ha più paura di nulla e dove l’anima è decisamente risoluta a sopportare qualsiasi cosa per amore di Dio. La ragione è che allora è quasi sempre in intima unione col Signore, da cui le deriva ogni forza.”
Parole significative quelle di Santa Teresa, guida costante in questo intero percorso, anche se non la sola, perché in questo lungo peregrinare anche la Commedia Dantesca ha fornito il suo aiuto. Giunti alla fine si tirano sempre le somme e 7_TERRA DELL’ULTIMO CIELO (2016), conclusosi poco più di un mese fa, ha espresso proprio questo, poiché dal punto di vista simbolico e formale, il lavoro ha riassunto tutte le tappe precedenti. Ritornano elementi quali la sabbia, gli alberi, gli uccelli, i banchi di legno, i vetri rotti…
Terra dell’ultimo cielo è l’epilogo di un percorso ascensionale, in cui l’uomo raggiunge il punto più vicino al Cielo, oltre il quale non è in grado di descrivere. L’altezza raggiunta è forse metafora dell’altezza dello spirito umano. L’arrivo però non è un approdo sicuro, un luogo di beatitudine, perché la grazia comporta sacrificio e pene. Paradiso e Inferno possono essere quindi due facce della stessa medaglia, o della stessa dimora, il regno dell’anima.
Tosatti ha riletto il presente napoletano, che definisce “sospeso e perpetuo”, affondando le mani nella polvere, riaprendo luoghi della memoria, attraversando le pieghe di una città ricca e complessa. Sancisce con questo lavoro la sua ricerca che si muove da sempre sulla riflessione del ruolo dell’artista nella società, intervenendo con azioni minime, costruendo specchi nel quali guardarci, identificarci, ritrovarci.
>>> Ogni installazione ambientale è il palcoscenico nel quale il visitatore viene indotto involontariamente a divenire performer. Egli ha tracciato più che un cammino fisico, metaforico, politico, ha dato una dimora temporanea all’arte a Napoli.
Il progetto Sette Stagioni dello Spirito, di Gian Maria Tosatti, a cura di Eugenio Viola, è stato promosso e organizzato dalla Fondazione Morra, con il sostegno della Galleria Lia Rumma, in collaborazione con Regione Campania, Comune di Napoli, Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, Assessorato al Patrimonio del Comune di Napoli, Seconda Municipalità del Comune di Napoli, Vicariato della Cultura della Curia di Napoli, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per Napoli e Provincia, Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, Autorità Portuale di Napoli, ha ricevuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.