Piscio su gesso. Polvere di diamante su tela. Una colata di urina e della Chocolat informale. Una tavoletta di cioccolato spiaccicata e un Piss Painting che sbeffeggia l’Action (painting). Modern Madonne e trans in polaroid. This is Andrew Warhola Junior (1928-1987) da Pittsburgh, Pennsylvania. Origini dell’est europeo, spirito e incarnazione del mito occidentale. Fenomeno (del) glamour. Plasmatore (del) mediatico. Trangugiò spettacolo, merce e consumo vomitando piatti miliari del Post War: Last Supper e Campbell Soup. Riprodusse meccanicamente e polimericamente le icone del secolo scorso. Mutò dive in divinità. Firmò la loro eternità. Marilyn, Mao, Minelli. Armani, Amelio, Agnelli. Una Pop Society brillante e glitterata. Moltiplicata e assunta all’arte. Iconica. Reiterata fino all’inflazione, alla morte. Avvolta in un’aura patinata.
Sei sezioni. Sei linee conduttrici. Sei colori acidi per ogni tematica. Un contenitore più grande di una Brillo Box. Palazzo Ducale di Genova si tinge rosa shocking e giallo fluo, azzurro luccicante e mattoncini argentati. Si riveste di glamour e srotola tappeti ad Pop per accogliere Sua Maestà di questa Art. Centosettanta opere invadono le affrescate sale settecentesche del Doge. Centosettanta tra tele, prints, disegni, oggetti, fotografie che immortalano celebrities, amici, star e starlette della seconda metà del secolo scorso. Decenni dove la televisione -“scatola meravigliosa che fornisce tutto lo spazio che si può desiderare”- domina incontrastata la scena del mondo e determina la vita delle masse. Non si ha più un’esperienza diretta della realtà, ma un’espressione mediata dai mezzi di comunicazione di massa. E’ la potenza dell’immagine. La filosofia di Warhol è una riflessione sull’immagine più che sulle cose. L’immagine sopravvive alla miseria quotidiana. Alla banalità della vita contemporanea si contrappongono le Marylin, i Mick Jagger, i Man Ray, le Jackie Kennedy e le Liza Minelli. Seducenti e sensuali. Morbosamente attraenti. Come le sedie elettriche, gli incidenti mortali e i dollaroni colorati stampati in serie con piccole varianti. Un’operazione di “ripetizione differente” come ci insegna Deleuze, citato nel contributo in catalogo da Freccero. Ciò che è popular viene sparato, moltiplicato e stampato sulla superficie delle tele. E lì, parafrasando Warhol, risiede proprio l’artista americano dalla zazzera biondo platino. “Sono nella superficie dei miei quadri, dei miei film, della mia persona. Dietro non c’è niente.”
Raffinato e rivoluzionario simulacro. Apparente involucro vuoto. Andy Warhol lavora sull’immagine degli oggetti. Ultima Cena: il sapiente utilizzo del colore serigrafico applicato come una sorta di pellicola avvolge nitidamente l’immagine monocroma, inchiodando nel verde smeraldo il tempo e lo spazio della scena. Le sovrapposizioni della tecnica serigrafica annullano le morbidezze di Marylin. Ne rimane un viso stilizzato. Solo i tratti necessari per il riconoscimento. Idolo e icona. Il soggetto si è oggettivizzato. Serigrafia e una passata di acrilico. Smalti e violenti inserti cromatici. Appaiono drag queen coloratissime. Come i faccioni delle vacche su carta da parati e quelli paciosi multicolor di Mao. Immagini fatte per sedurre, vendere e attrarre. Collage e camouflage. Registrare e riprodurre l’attualità. Warhol arriva a Napoli e realizza la celebre serie di visioni del Vesuvio fumante. Un fumetto. In mostra un trittico occupa tutta una parete dedicata. Sezione “Warhol e l’Italia”. Al centro delle sale delle altre sezioni, brillano le scatole Brillo una sopra l’altra. Una sorta di scultura-monumento alla società del consumo. La magnificazione delle “cose” della vita quotidiana della cultura di massa. Sempre più labile il confine tra sacro e profano. Warhol è credente. Cattolico. Pochi tratti accennano ad una dolce Modern Madonna con bambino. Di fianco, feticismo in tutte le salse. Piedi, scarpe e svariate nudità. Istantanee del proprio essere. Come le novanta polaroid nella Cappella del Doge. Questo è il fenomeno eclettico Andy Warhol. Mille sfumature di Pop in mostra fino a quasi la primavera prossima negli appartamenti dei signori della Superba. Aspettando l’attesissimo biopic in uscita nel 2017 con Jared Leto nei panni del re della Pop Art.
INTORNO ALLA MOSTRA:
CICLO DI INCONTRI “Novecento italiano oltre il Pop”. A cura di Anna Orlando | Sede: Palazzo Ducale. Genova
16 novembre: FLAMINIO GUALDONI – Piero Manzoni. Merda d’artista e altre storie
23 novembre: FABIO CAVALLUCCI – Lucio Fontana. Un taglio verso lo spazio
30 novembre: LUDOVICO PRATESI – Mimmo Rotella. Strappi d’artista
7 dicembre: MARCO VALLORA – Alighiero Bo’h’etti. Giocare in nome dell’artista
Informazioni utili
Andy Warhol. Pop Society
Palazzo Ducale, Genova,
21 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017
a cura di Luca Beatrice
ORARI:
lunedì 14.30 – 19.30
martedì – mercoledì – giovedì – domenica 9.30 – 19.30
venerdì – sabato 9.30 – 22.00
La biglietteria chiude un’ora prima (ultimo ingresso)
BIGLIETTI:
INTERO 13,00 €
RIDOTTO 11,00 €
Informazioni e prenotazioni
010/9868057
www.ticket24ore.it/warholgenova
http://www.palazzoducale.genova.it/andy-warhol-e-linvenzione-della-pop-society/