Milano ha celebrato Giovanni Gastel con una mostra, a cura di Germano Celant, a Palazzo della Ragione. L’antologica ha raccontato il percorso di arte e di vita del fotografo attraverso un labirinto, ideato dallo studio Lissoni, che ne ha amplificato la creatività.
Le immagini, selezionate per serie, hanno condotto i visitatori dagli anni Settanta ad oggi con scatti che spaziano dalla moda al design, dal ritratto allo still life fino alla sperimentazione. La ricerca è un presupposto irrinunciabile per il maestro che si concretizza nell’eterno istante; l’attimo sublime in cui ogni volta si mette in gioco dietro l’obbiettivo.
“Eleganza” è la parola sulla quale ha costruito la sua estetica declinata nelle fotografie. Alla fine ci si accorge che la mostra ha raccontato la storia di un uomo dal talento poliedrico che vive l’arte come un’esigenza interiore. Figlio di Ida Pace Visconti di Modrone e di Giuseppe Gastel, nipote del regista Luchino Visconti, Giovanni Gastel, milanese, classe 1955, è anche poeta e scrittore, ma confessa che, se glielo chiedesse Martin Scorsese, cambierebbe mestiere e tornerebbe al primo amore; la recitazione.
Giovanni Gastel, quali passaggi d’epoca hanno segnato il suo percorso?
Ho cominciato a scattare foto in una cantina a Milano negli anni di piombo. Capivo poco quella società e ho avvertito la necessità di ridisegnare un pezzo di mondo. Ho avuto il coraggio di fare questo mestiere in un periodo in cui la fotografia languiva. Poi c’è stata la meravigliosa esplosione degli anni Ottanta che hanno segnato la fine di un momento terribile e la nascita di una società nuova. La moda ha veicolato molto questa idea di ridisegnare il mondo. Ed ecco che scoppia il made in Italy. Poi arrivano gli anni Novanta con il consolidamento dei mercati e un calo della creatività nella moda.
Come si è evoluta la sua estetica?
Nei primi anni Ottanta ero molto trendy, senza volerlo, perché ogni generazione porta con sé un’estetica nuova. Poi negli anni Novanta ho dovuto decidere se seguire il trend per una vita. Invece ho scelto di fare l’autore continuando ad osservare i mutamenti della società.
Le memorie autobiografiche rientrano nel percorso della mostra. Quanto ha contato nascere in una famiglia che unisce i fasti dell’aristocrazia milanese e la concretezza borghese?
Non appartengo completamente a nessuno dei due mondi, ma dal loro incrocio nasce la mia estetica.
Che cos’è l’eleganza?
È un valore morale. Se scegli di prendere l’eleganza come concetto portante della tua vita poi devi anche comportarti in maniera consona.
Ricorda un uomo davvero elegante nello stile?
Leonardo Arrivabene Valenti Gonzaga era l’uomo più elegante che abbia mai conosciuto. Lui non se ne curava: era naturalmente elegante. Era un ex ufficiale e i suoi vestiti, al di fuori delle uniformi, erano un po’ fanè. L’eleganza non è una virtù culturale, ma animale, se ce l’hai, la trasmetti a tutte le cose intorno a te. Una donna che ho amato moltissimo è stata Uberta Visconti, sorella di mia mamma. Lei aveva questa dote per cui porsi il problema dell’eleganza non è tanto elegante.
Come entra la dimensione Pop nei suoi innovativi still life?
Ho riflettuto sul fumetto che ha tavole immobili che generano movimento e poi l’ho innestato su caratteristiche dell’Arte Pop come la centralità dell’oggetto e le campiture di colore. Racconto storie che stanno dietro a quello che vedi. Il mio still life ha avuto fortuna perché è molto rispettoso dell’oggetto che non stravolgo e invito a guardare con attenzione e ironia.
Scrive ancora poesie?
Continuo a pubblicare libri di poesie e di recente ho scritto un’autobiografia edita da Mondadori. Avrei fatto il poeta se non avessi incontrato questo amore folgorante per la fotografia.
Lei ha iniziato a recitare in teatro da adolescente. Se glielo chiedesse Martin Scorsese cambierebbe mestiere?
Dico di sì prima ancora che me lo proponga.
La sua fotografia si è sviluppata con l’uso privilegiato del banco ottico e delle lastre Polaroid 20 x 25. Come è approdato in seguito alle tecnologie digitali?
Alla metà degli anni ’90 la Polaroid ha chiuso e mi sono trovato senza mezzi di produzione. Allora ho optato per il digitale che ho studiato attentamente. Non solo mi sono convertito, ma ho adottato la nuova religione completamente. Come presidente dell’Associazione fotografi italiani professionisti dico che il futuro e il presente della fotografia sono il digitale. Tutto il resto è già archeologia. Ogni mezzo contiene già un’estetica.
La mostra “Giovanni Gastel” a Palazzo della Ragione (piazza dei Mercanti 1, Milano) si è svolta dal 23 settembre al 13 novembre 2016
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