A Milano, al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea), Armin Linke fotografo e filmaker, nato nel capoluogo lombardo nel 1966 e residente a Berlino, presenta una topografia di dialoghi diversi e una campionatura di molteplici letture concettuali e teoriche della sua fotografia, invitando scienziati e teorici a relazionarsi con il suo archivio che comprende più di ventimila foto.
Esperti di diverse discipline hanno scelto e commentato le opere della mostra creando una sorta di orchestrazione determinata dai modi differenti di accostarsi alle tematiche trattate. L’organizzazione per temi delle opere svela alcune delle tante sfaccettature del lavoro di Linke che, per oltre vent’anni, ha documentato la rappresentazione della natura, la storia del design, l’interazione dell’uomo con lo spazio, gli sviluppi tecnologici e i continui cambiamenti economici e ambientali che caratterizzano l’epoca della globalizzazione.
Armin Linke spiega nel dettaglio il significato della sua esposizione vista come una scenografia dove le immagini sono punti di partenza per le conversazioni e le associazioni individuali.
“Lo scopo era dare spazio a dei movimenti sempre controllati collettivamente, sia con Ilaria Bonacossa sia con il gruppo con cui fin dall’inizio abbiamo sviluppato la mostra. L’idea era di non usare le pareti della galleria ma di porre pannelli nello spazio (sono centotrenta pannelli e ogni pannello contiene una fotografia incorniciata e la didascalia N.d.R.)creando una specie di giardino, di foresta che si potesse indagare visualmente ma anche testualmente. La mostra è anche una specie di essay collettivo, di testo scritto in cui le immagini possono essere addirittura all’incontrario ed essere dei piè di nota del testo.
Tutto è iniziato con uno scambio con Bruno Latour, il filosofo e antropologo della scienza che stava sviluppando un sito web e mi ha chiesto se poteva usare delle fotografie come piè di nota per alcuni dei suoi concetti. Abbiamo creato così questo workshop a SciencesPo a Parigi in cui io ho stampato fotocopie A4 e abbiamo passato due giorni a guardarle e per me è stato interessante vedere quello che lui vedeva nelle fotografie e che io non avevo visto quando avevo scattato le immagini. E, da qui, nasce anche il titolo della mostra L’apparenza di ciò che non si vede.
La mostra esiste anche come paesaggio sonoro. Quando navigate la mostra, potete farvi guidare da quest’altro elemento che è stato curato da Giuseppe Ielasi, musicista e compositore, perché durante questi workshop abbiamo registrato le voci ed era anche interessante constatare come i vari esperti si interfacciavano con le fotografie. Alcuni sceglievano un’immagine singola, altri le componevano in sequenze.
La mostra funziona anche come un ipertesto ed è il tentativo forse di avere delle fotografie di luoghi estremamente fisici, materiali, proprio di luoghi che pensiamo possano essere connessi a processi complessi astratti. E cercare invece di andare a vedere come questi processi invece abbiano un luogo materiale in cui avvengono. La mostra è un ipertesto che nasce e cerca di rappresentare questi luoghi immateriali in modo fisico ma che si possa navigare come su una pagina web ma, avendo un’esperienza fisica.
L’altra cosa che abbiamo cercato di fare è adattare la mostra al lavoro di Gardella (la disposizione dei pannelli risponde in modo specifico all’architettura modernista del padiglione, progettato da Ignazio Gardella e da lui ricostruito insieme al figlio Jacopo Gardella, dopo l’attacco dinamitardo del 1993 N.d.R). In un certo senso è interessante avere lo stesso padiglione su diversi livelli, quasi come degli strati geologici, abbiamo la galleria che era dedicata alle sculture, la parte superiore per le pitture e l’altra sempre superiore per i disegni che sono anche interessanti. È possibile avere il rapporto con il giardino esterno. Penso che sia una mostra che possa essere navigata e letta in un modo aperto quasi come un gioco”.
La mostra è curata da Ilaria Bonacossa e Philipp Ziegler con immagini selezionate da Ariela Azoulay, Lorraine Daston, Franco Farinelli, Irene Giardina, Bruno Latour, Peter Weibel, Mark Wigley, Jan Zalasiewicz.
ARMIN LINKE. L’apparenza di ciò che non si vede
16 ottobre 2016 – 6 gennaio 2017
a cura di Ilaria Bonacossa e Philipp Ziegler
PAC Milano
via Palestro 14
www.pacmilano.it