Paris Photo 2016: valore in aumento del 48 %, 62000 visitatori e sempre più immagini contemporanee accanto ai classici ever green.
Nel 1997 una cinquantina di gallerie inauguravano Paris Photo, il salone in difesa dell’immagine fissa: la fotografia. Il mercato della fotografia, che era fino a quel momento localizzato a New York, poteva dunque spostarsi in Europa, permettendo ai collezionisti del mondo intero di venire nella Ville Lumière per un appuntamento annuale imperdibile.
Per questa 20a edizione, 183 gallerie provenienti da 30 paesi diversi hanno occupato, dal 9 al 13 novembre, lo spazio del Grand Palais. Dagli albori di questa nuova arte fino alle creazioni più contemporanee, la molteplicità dei linguaggi era rappresentata: fotoreportage, fotografia di moda, fotografia legata alle questioni intime, sociali, politiche, fotografia astratta, etc.
Nell’epoca del digitale, in cui tutti possiamo scattare milioni di immagini grazie a smartphone sempre più performanti, come si è evoluto il mercato della fotografia? Cosa cercano i sempre più numerosi collezionisti?
I progressi tecnologici hanno sicuramente facilitato la totale democratizzazione della fotografia permettendo a ognuno d’improvvisarsi fotografo e di ritoccare e perfezionare ogni immagine per raggiungere risultati estetici migliori. Tuttavia lo sguardo del professionista resta riconoscibile attraverso numerosi indizi, sia tecnici sia d’approccio, che ci interrogano proprio sulla relazione tra la fotografia, le progressive mutazioni tecnologiche e la rappresentazione della realtà all’interno dell’immagine. “C’est une question de regards”, è una questione di punti di vista, potremmo dire.
Come sottrarre l’opera alla sua riproducibilità per darle uno statuto di unicità? Questa una delle domande che orienta la ricerca di molti fotografi e dei loro collezionisti che sempre più guardano non solo all’estetica finale, ma anche al procedimento di costruzione dell’immagine. Nello spirito dei tempi. Per citare qualche esempio:
Chris McCaw usa un apparecchio che ha costruito lui stesso per fotografare il sole. Per realizzare le sue immagini il fotografo americano porta al limite il procedimento di esposizione alla luce lasciando la carta fotografica dalle 8 alle 12 ore a contatto con il sole. Quest’ultimo, filtrato dall’obiettivo come attraverso una lente, finisce per bruciare la carta sulla sua traiettoria. Letteralmente una foto-grafia, una traccia di luce.
Anche Marc Breuer esplora la flessibilità del medium fotografico, mostrando quanto ampia sia la possibilità di esprimersi attraverso di esso. L’artista tedesco ha trattato la carta fotografica in tutti i modi meno ortodossi: graffiandola, bruciandola, grattandola per togliere strati di impressione. I risultati di questo procedimento tecnico, in gran parte artigianale, sono immagini uniche che ricordano più una pittura astratta di Gerard Richter che una classica fotografia.
Il brasiliano Pedro Motta, rappresentato dalla galleria Bendana/Pinel, riflette invece sulla linea sottile che distingue il reale dalla finzione. Associando all’immagine fotografica digitale la primordiale pratica del disegno, manipola la realtà aggiungendo un elemento di autenticità a ogni fotografia. Nella serie presentata è l’attore Klaus Kinski che dà vita a un fantasioso gioco narrativo in mezzo agli scatti di una foresta colombiana.
L’italiana Beatrice Pediconi, rappresentata dalla galleria torinese Photo & Contemporary, sceglie invece un procedimento del tutto innovativo. Le sue immagini sono la riproduzione di una pittura su acqua. “Allien Four” è in effetti la riproduzione di una pittura a olio, realizzata su una superficie liquida. La ricerca pittorica sulla sostanza s’incontra con la tecnica fotografica che può registrare, e per un istante fermare, l’evanescenza della materia. La sequenza realizzata in questo caso con la polaroid permette inoltre di documentare il procedimento creativo e il mutare aleatorio delle forme a contatto con l’acqua.
Utilizzando semplicemente il suo telefono, la poliedrica artista Nina Katchadourian ha creato il suo personale linguaggio durante dei lunghi tragitti in aereo. Invece di contemplare le nuvole dal suo oblò, l’artista californiana preferisce scattare delle foto di se stessa, dei selfie, in abiti rinascimentali. E’ la moda fiamminga del XVI secolo a ispirarla: con l’aiuto di carta igienica, bicchieri di plastica o cuscini gonfiabili, vestiti, colletti e pettinature creano un nuovo personaggio.
Grazie all’aiuto della tecnologia, e le svariate possibilità di ritoccare le immagini, ecco che si crea un gioco tra pittura e fotografia, antico e contemporaneo.
Tutto lo stand di Stanley Wise era consacrato al capogruppo della pura finzione pop e del cosiddetto “glam-sex”: l’americano David Lachapelle. Uno stile immediatamente riconoscibile che non lascia mai indifferenti. Nelle diverse ambientazioni surrealiste, la cultura artistica classica si concilia con l’arte popolare mostrando tutte le ossessioni della nostra società contemporanea: il consumismo (anche di immagini), la pornografia, lo star-system, la religione, il clima. Due fotografie, mostrate per la prima volta durante la fiera, sono state vendute a 20 000 dollari.
Volendo invece mostrare le possibilità espressive della fotografia documentaria contemporanea, la gallerista parigina Magda Danysz ha scelto due dei più importanti fotoreporter italiani: Paolo Pellegrin e Alex Majoli, i quali hanno esposto alcune immagini tratte dal progetto portato avanti in Congo nel 2014.
Lontani dal presentare un lavoro dalle tinte antropologiche, i due fotografi di Magnum si sono immersi nella vita locale mostrando tutta la varietà delle scene di vita quotidiana delle quali hanno cercato di ridarci l’esperienza diretta: momenti di lavoro, di lutto, di dramma, ma anche scene collettive di tranquillità o di festa. La potenza dell’intero progetto fotografico è raccolta nel libro “Congo”, dove non vi sono né didascalie né crediti fotografici. Si può interpretare solo a partire dalle immagini. Il libro, edito da “Aperture” in 1500 copie (in inglese e francese), è stato ampiamente venduto come anche le fotografie esposte.
Collezionisti privati e acquirenti istituzionali, provenienti dai più importanti musei del mondo (tra i quali si segnala anche la presenza del MAXXI di Roma), continuano a collezionare oltre alla fotografia sperimentale, anche quella più classica. Il cosiddetto “vintage”, più o meno recente, è molto quotato e talvolta supera il valore dei grandi formati contemporanei.
Un gallerista specializzato nel settore come Hans P. Kraus Jr. (New York) ha dedicato tutto lo spazio del suo stand alla tematica del viaggio in Egitto ricordandoci come la fotografia, fin dalle origini più democratica della pittura, nell’800 suscitasse soprattutto l’interesse delle élite.
La galleria newyorkese Howard Greenberg ha venduto la fotografia di Diane Arbus, “Famiglia sul prato una domenica a Westchester” alla cifra record di 370 000 euro.
I 36 provini scattati da Helmut Newton a David Bowie all’apice del successo di “Let’s Dance” riappaiono in commercio dopo 33 anni e sono stati venduti a 65 000 euro.
Tra gli autori italiani, si trovano numerosi scatti di celebri fotografi storici o contemporanei: Arturo Bragaglia, Luigi Ghirri, Giovanni Gaste,l per citarne solo alcuni, e l’immancabile Massimo Vitali venduto a 35.000 euro da Benrubi.
La galleria Continua partecipava per la prima volta con uno stand scenografico di maxi formati stampati su carta da parati della fotografa marocchina Leila Alaoui tristemente scomparsa a gennaio di quest’anno vittima di uno degli attacchi terroristici nel Burkina Faso. La serie “Marocchini”, ispirata dalla serie “Americani” di Robert Frank, raggruppa un insieme di ritratti realistici per mostrare “il vero volto del Marocco”, senza alcun artificio.
Sempre da Continua troviamo Giovanni Ozzola, il giovane fiorentino che vinse il premio Cairo nel 2011, con l’ultima serie del 2016 “by the Sea”.