La cosa che stupisce di più del voto sul referendum e del suo esito è la sopresa dei commentatori politici. Per chiunque sapesse fare due conti e avesse studiato la matematica, il risultato era già annunciato e del tutto scontato: da una parte c’era Renzi e una parte del Pd con l’accoppiata Alfano Verdini assolutamente ininfluente e capace appena di ragranellare ben che vada numeri sotto il 3 per cento nel segreto dell’urna, e dall’altra un raggruppamento così vasto che partendo da Forza Nuova arrivava fino ai centri sociali passando per Forza Italia, la Lega, la cosiddetta sinistra del partito democratico, incluso l’immarcescibile D’Alema, più il Movimento 5 Stelle.
Visti gli schieramenti, chi pensava a un esito diverso era in malafede o ignorante. Il problema quindi non sta nel voto – assolutamente scontato, ripeto -, ma nella battaglia politica che l’ha preceduto. E qui gli errori di Renzi sono altrettanto palesi, perché immaginare di riuscire a vincere contro la volontà del Paese e di andare per questo allo scontro uno contro tutti è uno sbaglio che uno statista impegnato a rinnovare e oliare gli ingranaggi rugginosi del nostro malandato sistema politico non avrebbe dovuto commettere.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Più niente. E questo è l’altro errore, perché il premier s’era ormai infilato in una strettoria senza vie d’uscita, accerchiato da nemici interni ed esterni. Renzi ha dimostrato di conoscere benissimo tutti i segreti della politica, ma non quelli del potere. Se lui avesse letto un po’ di più (altro grosso limite per uno statista: legge poco) e sopratutto Vilfredo Pareto, ne «La teoria dell’elite», avrebbe capito che una volta che tu prendi il potere non sei più tu a guidarlo, ma è lui che guida te. Sapendolo, forse si sarebbe evitato questo bagno di sangue.
Dimissioni obbligate, a questo punto. Ma qui c’è l’altra faccia della medaglia. Renzi non rinnega se stesso e al contrario del suo nemico più acerrimo, quel Massimo D’Alema che non si dimetterebbe neanche da presidente del condominio, annuncia subito di lasciare Palazzo Chigi al prossimo venuto e lo fa con una dignità rara nel nostro mondo politico. Non poteva fare altrimenti, è vero. Ma noi siamo abituati a governanti che in condizioni simili hanno gridato ai brogli, accampato scuse di tutti i tipi, urlato al complotto e al colpo di stato, mandando i loro schierani in tv e in Parlamnto a gettarsi lancia in resta contro qualsiasi mulino a vento. Avrebbe potuto aggrapparsi a quel 40 per cento abbondante di sì raccolto praticamente da solo, per dire che aveva mantenuto le stesse preferenze conquistate nelle storiche europee che avevano ribaltato il pd, lasciando intravedere un destino diverso da quello che si è appena compiuto.
Per fortuna non l’ha fatto. Riconosciamo allo sconfitto un certo onore: «Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta. Volevo ridurre il numero delle poltrone: la poltrona che salta è la mia». Visibilmente emozionato durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi nella mezzanotte di ieri, sotto lo sguardo della moglie, ha rivolto un pensiero alla famiglia: «Grazie ad Agnese per aver sopportato la fatica di questi mille giorni e per come ha splendidamente rappresentato il nostro paese, grazie ai miei figli».
E poi a quelli che hanno lottato assieme a lui: «Voi avete fatto tutto quello che potevate. Voi non avete perso. Ho perso solo io». Il verbo perdere è come un’ossessione, ritorna in ogni frase, a segnare non solo il suo stato d’animo, ma anche un cambio di guardia che coinvolge tutto il Paese. Renzi, probabilmente, non lascia solo il governo. Lascia pure la segreteria del partito, anche se non lo dice a chiare lettere: «Si può perdere un referendum, ma non si può perdere il buonumore. Io ho perso, in Italia non perde mai nessuno. Io non sono così: ho perso. L’esperienza del mio governo finisce qui». Chapeau: se avesse governato come parla, staremmo qui a raccontare un’altra storia.
Ma se Renzi ha perso, non crediate che abbiano vinto tutti gli altri, perché in un raggruppamento così composito questo è assolutamente impossibile. I vincitori sono solo due. Ha vinto di sicuro il Movimento 5 Stelle che sin dall’inizio è stato il grande oppositore di questa riforma costituzionale, e a buon ragione Di Maio ha già annunciato quello che potrebbe capitare a breve: «Da domani ci mettiamo al lavoro per il futuro governo del M5S».
Il calendario politico non può che prevedere una sola strada percorribile: un governo di sopravvivenza che ci porta al più presto a nuove elezioni, il cui esito, se non è scontato come quello del referendum, è comunque abbastanza annunciato. Grillo parte in una posizione di grande vantaggio e se non dilapida il patrimonio di consensi acquisito negli ultimi tempi, dovrebbe diventare il primo partito e conquistare effettivamente la poltrona di Palazzo Chigi.
L’altro vincitore è Massimo D’Alema, il nemico storico di Renzi, che con questo risultato si mette nelle condizioni di potersi riprendere il pd e di restare attaccato alla sua poltrona, che è la cosa alla quale tiene più di tutto. Non vince Matteo Salvini, proprio perché il suo apporto al successo finale è oscurato da un compagno di viaggio molto più ingombrante, come Grillo, che ha pure parecchie chance a questo punto di andare a raccogliere nuovi consensi nel suo orticello. E soprattutto non vince Berlusconi, l’altro perdente di questa contesa, che promette di candidarsi alle prossime elezioni, quando sa benissimo che questa decisione dipende dalla Corte Europea. Se gli dice di no, lui è finito. E non avrà più neppure un salvagente cui aggrapparsi.
C’è solo un incognita in tutto questo. Ed è proprio quella del Grande Sconfitto. Perché se Renzi sposta il mirino della sua battaglia, dal governo al pd, quel 40 per cento di «sì» può diventare rivelatore di consensi all’interno del partito, capace di ribaltarne di nuovo l’assetto. Non subito, ma in prospettiva.
E allora fra qualche anno questa storia potrebbe essere riscritta. Sempre che lui nel frattempo si sia assunto l’onere di leggersi almeno una volta Vilfredo Pareto.
Mi faccio una sola domanda: ma se questo giovane statista italiano, come TUTTI sono d’accordo nel dire, ha compiuto errori così grossolani (come: personalizzare l’agone; sottovalutare il significato politico; ignorare i rapporti di forza; etc), era davvero quel grande politico che tante persone, in Italia e all’estero, hanno celebrato, seguito, osannato per tanti mesi?