Print Friendly and PDF

Nico Rosberg gli amori, le sconfitte e la vittoria. Quando il campione è un maestro

Nico Rosberg (GER) Mercedes AMG F1 celebrates on the podium. 28.08.2016. Race
Nico Rosberg (GER) Mercedes AMG F1 celebrates on the podium.
28.08.2016. Race

«Troppa pressione», ha scritto su Facebook Nico Rosberg, il pilota di Formula 1 che ha appena vinto il titolo di campione del mondo con la Mercedes. «Ho raggiunto il mio sogno. Adesso mi ritiro». Ma com’è possibile ritirarsi dopo aver scalato una montagna e aver toccato finalmente il cielo? Com’è possibile farlo dopo aver battuto tutti e aver sconfitto anche i tuoi fantasmi, dopo aver girato il destino con le tue mani quando nessuno ci credeva e adesso che sei arrivato in cima, nelle nuvole di un paradiso, puoi goderti questa sensazione incredibile di guardare dall’alto ogni cosa del nostro mondo e dire semplicemente questo, che io ce l’ho fatta? Com’è possibile? Non c’è bellezza più grande di una cosa conquistata con la fatica. Eppure Nico Rosberg aveva già deciso prima ancora di raggiungere il suo sogno. Solo che non era convinto di riuscire a farcela. E’ una vita che il destino gli ha soffiato il vento contro: l’ha cresciuto all’ombra di Keke Rosberg, il grande papà finlandese, mito della sua gente, che vinse il titolo di campione del mondo nel 1982 con la Williams e gli diceva che gli parlava solo se dimostrava di essere forte come lui, e quando ha cominciato a correre a 11 anni, sui kart, gli ha messo subito contro il talento prodigioso di un bambino inglese di colore che finiva per sorpassarlo un mucchio di volte, come una maledizione. Come si chiama quel dannto?, chiese a suo padre il primo giorno che lo incrociò. «Lewis Hamilton», gli rispose. «Dicono tutti che sia bravissimo».

nico-rosberg-lewis-hamilton
Nico Rosberg e Lewis Hamilton si conoscono da bambini quando gareggiavano insieme sul kart

Nico Rosberg viene da questa storia incredibile, da questi fantasmi che lo inseguono da sempre, come se la vita l’avesse condannato a non vincere mai, a godersi invano il suo talento irrisolto. E’ arrivato in Formula 1 prestissimo, a 21 anni, ancora prima del suo eterno rivale perché tutti erano convinti che anche se perdeva lui avesse qualcosa in più, e l’ha preso proprio la Williams che cercava l’erede di suo padre: «Questo ragazzo secondo me è più bravo ancora», diceva il patron. Forse era vero. Ma non basta essere bravi se hai il vento contro. I giornali lo ossessionavano, si aspettavano il miracolo subito: «Ma quando vince questo qui?». Invece, Lewis Hamilton arriva dopo di lui, nel 2007, e vince subito, campione del mondo del 2008 con la McLaren. Al quadrivio del destino, prima o poi prenderemo la strada giusta. Così è arrivata la Mercedes, e questa volta sembra la volta buona, forse Nico ha battuto i suoi fantasmi. Solo che gli mettono al fianco un mostro sacro come Michael Schumacher, 7 volte campione del mondo, un mito della velocità, una carriera infinita alle spalle, un altro fantasma soprattutto, un altro di questi miraggi che ti schiacciano nell’ombra. Deve fare il secondo, la maledizione continua. Poi nel 2012 Michael annuncia il ritiro e lui pensa è fatta, stavolta tocca a me. Il giorno dopo gli presentano il suo nuovo compagno di scuderia: «Vi conoscete già, vero? Lui è Lewis Hamilton».

Per l’ennesima volta viene buttato indietro a un passo dal cielo. Nei due anni in cui la Mercedes diventa la macchina più forte del lotto nella F1, dal 2014 al 2015, lui è costretto ad arrendersi e a inseguire il bambino prodigio che lo sorpassava nei circuiti a elica delle kart sculettando contro il suo muso, quando suo padre lo raccoglieva dopo la gara scuotendo la testa, «guarda Nico, che si corre per vincere, mica per arrivare secondo». Questa volta la macchina non è così imbattibile, perché il 2016 ha segnato l’avvicinamento delle rivali. Sono loro che sono imbattibili, Hamilton e Rosberg, che danno vita a una sfida personale, senza esclusioni di colpi. Questa volta Nico non vuole restare a guardare quel talento sfacciato che lo sorpassava nelle curve dei bambini e a lui sembrava che gli sorridesse sarcastico. Questa volta il sogno lo vuole prendere, lo vuole vedere in faccia, vuole sapere com’è fatto. E’ una corsa infinita. «Ma quando ho vinto a Suzuka», dice, «ho capito di aver finalmente il titolo nelle mie mani. La pressione era aumentata e ho pensato da lì di ritirarmi da campione del mondo». Così, quella domenica mattina ad Abu Dhabi, Nico sapeva che quella avrebbe potuto essere l’ultima corsa della sua carriera, «e prima della gara ho sentito che era tutto chiaro e giusto. Volevo gustarmi dall’interno ogni secondo del fatto che quella sarebbe stata la mia ultima gara, e quando i semafori si sono spenti è diventata la corsa più intensa della mia vita». Più delle gare perdute per un soffio da bambino, più delle vittorie che gli sembravano immense, più di tutte le volte che credeva d’aver battuto i suoi fantasmi, per ritrovarseli di nuovo davanti la domenica dopo.

Lunedì mattina, mentre tutti festeggiavano, aveva accettato definitivamente di compiere questo passo. Un uomo non può cancellare per due volte i suoi fantasmi. Ce l’aveva fatta, ma adesso doveva saper cogliere l’attimo. «Sono diventato campione del mondo attraverso un duro lavoro, attraverso il dolore e i sacrifici. E adesso ce l’ho fatta. Ho scalato la montagna, sono sulla vetta. Il cielo è qui, accanto a me e dentro di me, lo sto toccando. La mia emozione più grande è di profonda gratitudine per tutti quelli che mi hanno sostenuto per rendere possibile il mio sogno».
Oggi è più forte di Lewis, più forte di suo papà. Almeno oggi si tiene questa sensazione, come se potesse essere la sua vita. Alla Mercedes si sono arrabbiati, hanno detto che non se l’aspettavano. Niki Lauda gli ha detto che ha commesso un grosso errore, perché ha solo 31 anni, e si è troppo giovani per smettere in Formula 1. Ma oggi il mito di suo papà è venuto da lui in carne e ossa. Si è seduto al suo tavolo e gli ha sorriso, perché oggi sono uguali. Gli ha detto: «Bravo ragazzo». Lui ha fatto di sì con le labbra chiuse. «Che tempo fa, lassù?».

Nico Rosberg da piccolo con il suo papà Keke che ama moltissimo
Nico Rosberg da piccolo con il suo papà Keke che ama moltissimo

Nico Rosberg gli amori, le sconfitte e la vittoria. Quando il campione è un maestro

Commenta con Facebook

leave a reply

*