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Il Western di Gaetano Liguori. La messa in scena dell’etica

I Magnifici Sette di John Sturges 1960 con Steve McQueen e Yul Brynner I Magnifici Sette di John Sturges (1960)
I Magnifici Sette, Robert Vaughn, Steve McQueen, Charles Bronson, Yul Brynner, Brad Dexter, Horst Buchholz, James Coburn, 1960
I Magnifici Sette, Robert Vaughn, Steve McQueen, Charles Bronson, Yul Brynner, Brad Dexter, Horst Buchholz, James Coburn, (1960)

“Un uomo deve sapere da che parte stare.
Sapere quando sparare è altrettanto importante di come sparare”.
Michael Winner, Io sono la legge (1971)

È un piacevole viaggio, attraverso l’epica storia del cinema western, il nuovo libro (edito da Skira) di Gaetano Liguori, Non sparate sul pianista. Assumendo la forma di una consacrazione di tale genere cinematografico – prodotto tipicamente ed eccellentemente americano –, è una lode alla sua etica, ai valori portati sulla scena che sono in grado di educare e formare gli spettatori, esortando all’azione, a farsi carico delle proprie responsabilità, a scegliere da che parte stare.

Gaetano Liguori Non sparate sul pianista viaggio nel cinema western Skira
Gaetano Liguori, Non sparate sul pianista. Viaggio nel cinema Western, Casa Editrice Skira.

Gaetano Liguori è uno dei più noti musicisti jazz italiani, affermatosi come leader del gruppo Idea Trio, con il quale ha tenuto numerosi concerti; è attivo nella composizione di colonne sonore per il teatro, il cinema, la radio e il balletto. La passione per il selvaggio Ovest nacque nel bambino napoletano, cresciuto a Milano, grazie al padre – anch’egli musicista – che come quotidiana abitudine portava i figli ai cinema della zona “periferica” di Corvetto, passando così i pomeriggi ad ammirare esaltanti sparatorie, storie di cowboys, banditi, indiani e desperados sui mega schermi. Non sparate sul pianista è l’avventura autobiografica di Liguori nella sua passione per il cinema western; un genere, che come ammette lo stesso autore, ha affascinato e conquistato un’intera generazione – classe 1950. Tra i primi ricordi spiccano celebri film, indimenticabili icone del genere: I Magnifici Sette (1970), Soldati a cavallo (1959), Ultima Notte a Warlock (1959) e Un dollaro d’onore (1959).

“Dai ragazzi, sveglia, avete fatto i compiti?”
“Già sapendo a cosa portava la domanda, la risposta era immancabilmente… Sììììì!”
“E allora andiamo al cinema a vederci un bel film di cowboy e indiani.”
Il papà di Gaetano

Perché proprio il western? La risposta viene alla luce nel corso della lettura e non può che essere la seguente: perché non è “solo” cinema, se con cinema intendiamo la “mera” messa in scena di una storia fittizia, il western è una reale lezione di vita. Ciò che porta in primo piano Liguori è l’eticità di questo genere: il western è esibizione di virtù, di valori e di fondamentali insegnamenti.

Celebra la giustizia come caratteristica peculiare dei giganti dell’Ovest come ne I Magnifici Sette, il film “più giusto” a parere dell’autore, se per giusti si intendono coloro che si ribellano ad un’ingiustizia di qualunque tipo, e dal quale è stato ispirato per la composizione di un brano: Un pianoforte per i Giusti. Esalta il coraggio, come quello dello sceriffo Kane interpretato da Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco (1952) – sebbene sia spesso un coraggio di resistere alla paura che prevede come unica risposta risolutiva la violenza. Mette in scena il sacrificio, quel destino amaro attinto dagli eroi della tragedia greca, condiviso dai cowboys del selvaggio West. Sono storie di altruismo e di amicizia, principalmente virile, come quella tra Wyatt e Holliday-Doc in Sfida all’O.K. Corral di John Sturges (1957): “un’amicizia ruvida ma fatta di stima reciproca”.

“Alla fine noi vinceremo perché moriremo liberi.”
Walter Hill, Geronimo.

I Magnifici Sette di John Sturges 1960 con Steve McQueen e Yul Brynner
I Magnifici Sette di John Sturges (1960)

“Perchè ti porti dietro un rudere come me?”
“Abbiamo cominciato insieme e insieme finiremo.”
“Anch’io la penso così, e così concepisco l’amicizia.”
Sam Peckinpah, Il mucchio selvaggio (1969)

Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah (1969)
Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah (1969)

Fedeltà e responsabilità sono ciò che questo genere cinematografico può insegnare. “Confrontarsi con le scelte che la vita impone, prendere parte, decidere, agire: da lì a qualche anno furono modi di essere che ci aiutarono a crescere”, Liguori. Dalle storie sugli schermi alla vita reale: il passo è breve. Una fedeltà che assume varie sfaccettature: non solo quella alla banda, ma è anche quella di Billy the Kid al suo mondo e per la quale morirà, scegliendo, al contrario dell’amico Pat Garrett, di restare un bandito.

Lo sceriffo Garrett al bandito Kid: “il mondo è cambiato.”
Kid a Garrett: “il mondo è cambiato, io no!”
Pat Garrett e Billy Kid (1973)

La tesi fondamentale dell’avventura letteraria di Liguori è, quindi, quella secondo cui il cinema western può effettivamente insegnare qualcosa, esortando alla decisione e alla presa di posizione, scegliendo da che parte stare e capendo che esistono circostanze “in cui non è obbligatorio girare gli occhi da un’altra parte, quando ci sono cose che «un uomo non può sopportare»”.

Insomma, l’equazione è ben presto fatta: western = la messa in scena dell’etica.

Valori e virtù sono incarnati dagli attori. Un teatro di stereotipi è ciò da cui attinge ogni genere cinematografico. In particolare, nel selvaggio West, si ritrovano le figure dello sceriffo, del bandito, del selvaggio, della prostituta, del moralista. Un mondo di caratteri nel quale riconoscersi. Il western propone, soprattutto nella prima cinematografia, un mondo dualista, essenzialmente manicheo: il limite fra bene e male è netto. L’eroe, lo sceriffo, la madre coraggiosa da una parte, e dall’altra i banditi, gli indiani, i “negri” e i messicani.

Chi è colui che può vestire i panni dell’eroe? Mai un nero, mai un messicano, mai un indiano. Anzi, talvolta il western rende eroi – quindi leggende – anche i cattivi, chi forse non è poi così giusto. Il fil rouge del viaggio di Liguori coincide precisamente con l’analisi della figura dell’eroe. Negativo o positivo che sia, nel western domina l’archetipo dell’eroe con tutte le sue possibili sfumature: colui che compie il proprio destino facendo trionfare la – sua – giustizia. Il cinema è in grado di rendere leggenda, ma ancora prima ciò era compiuto dalla stampa. La differenza tra i due media risiede nella modalità fruitiva implicata: la fruizione filmica non permette mediazione culturale, al contrario della lettura che comprende sempre l’atto riflessivo; in altre parole, il cinema è un medium diretto che assorbe lo spettatore in una finzione ipnotica attraverso un flusso di immagini, provocando un annebbiamento della capacità di giudizio.

Negli anni ’50 si instilla un dubbio, il western cambia faccia, non è più tutto bianco o nero/rosso. I popoli selvaggi, quelli tradizionalmente contrari alla civiltà – americana – assumono ruoli da protagonisti, raggiungendo film dopo film la pari dignità. La vera riabilitazione degli indiani cominciò con L’amante indiana (1950) di Delmer Daves. Ma è in Balla coi Lupi, nel 1990, che si raggiunge l’apogeo nella difesa degli indiani come depositari di grandi valori morali, di uno stile di vita in armonia con la terra, che ne rispetta le leggi.

In particolare, è il regista statunitense Sam Peckinpah a mettere in scena il tramonto del classico West e, di conseguenza, quello dei suoi monolitici eroi, uomini tutti d’un pezzo, ossia quelli che “sapevano esattamente cosa fare in ogni occasione“. Tuttavia, era quest’ultima l’unica tipologia di eroe in grado di animare in maggior misura il pubblico, contrariamente a quei personaggi pieni di insicurezze e contraddizioni, figure di “eroi” vacillanti che facevano ben poco audience.

“Nel western non ci sono eroi.
C’è solo gente che ha paura della vita.
Per questo spara, ammazza, rapina.
Ed è per questo che li chiamano desperados.”
Sam Peckinpah

Due capitoli, uno su Il Mito del western, l’altro su La Leggenda del western. Rispettivamente John Wayne e Clint Eastwood.

“John Wayne è morto?
La nazione è in lutto,
come fa a morire John Wayne?
Gli avranno sparato gli indiani.”
Richard Kelly, Donnie Darko

John Wayne è stato il primo attore che è riuscito a compiere un’identificazione totale con i personaggi interpretati. Si è cucito sulla pelle i valori e le tensioni di un intero mondo, quello western, perciò è e sarà ricordato “nei secoli dei secoli”.

“Possiamo pensare ai tanti personaggi che ha interpretato sullo schermo e che ci sono stati d’esempio trasmettendoci il senso dell’amicizia, il non cantare sempre nel coro, l’andare fino in fondo nelle imprese per realizzare i nostri obiettivi mantenendo sempre dignità e una certa grandezza, anche negli errori.” Liguori.

Wayne calzava perfettamente le vesti dell’eroe tutto d’un pezzo: coraggioso, onesto e leale. Tra i suoi numerosi film western interpretati – centocinquanta –, Liguori ricorda: Un dollaro d’onore di Howard Hawks (1959), Il Grinta di Henry Hathaway (1969), Berretti Verdi (1968), Il Pistolero (1967), Sentieri Selvaggi (1956) e Ombre Rosse (1939) entrambi di John Ford. E di queste celebri interpretazioni, alcuni dialoghi sono diventati veri e propri archetipi del genere: “A volte succedono cose che non si possono evitare” e “Io so tutto quello che voglio sapere” nei panni di Ringo Kid in Ombre Rosse. “Sono solo un uomo che vuole morire come tale” in Il Pistolero.

John Wayne Ringo Kid Ombre Rosse (1939) John Ford
John Wayne nei panni di Ringo Kid in Ombre Rosse (1939)

Invece, Clint Eastwood è la leggenda.

“Mi piacerebbe lasciare quando ancora sono famoso.
Non voglio fare come quei pugili
che si attardano sul ring fino alla fine.”
Clint Eastwood.

Tredici è il numero dei film dei quali Eastwood è stato sia attore sia regista. Un regista attento a raccontare le storie, alla personalità e alla psicologia dei personaggi, con un occhio di riguardo al ruolo della musica – amante in particolare modo del jazz. Tra i tanti film sono ricordati da Liguori: Lo straniero senza nome (1973), Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976), Il cavaliere pallido (1985) e Gli Spietati (1992) con cui portò a casa ben quattro premi oscar.

Clint Eastwood cinema western
Clint Eastwood

Che fine ha fatto oggi il western? Si accenna ad una “morte dell’arte”. Liguori, infatti, si esprime nei termini di un esaurimento di tale genere che ha avuto inizio già negli anni ’70. Dopo il periodo d’oro con attori del calibro di John Wayne, Kirk Douglas, Gregory Peck e di registi come Sam Peckinpah, Sergio Leone, Clint Eastwood, diventò difficile produrre ancora un “buon” western, un western di qualità. Mutatis mutandis, la settima arte si è diretta verso altri generi come quello d’avventura, di fantascienza e l’horror, seguendo i gusti del suo pubblico. Tuttavia, alla luce delle virtuose qualità di tale genere cinematografico evidenziate dal musicista Liguori, si potrebbe auspicare oggi ad una “rispolverata” di western.

Concludiamo questo viaggio letterario con una citazione di Edmund Burke che racchiude il senso del libro: “La sola cosa necessaria affinché il male trionfi, è che gli uomini buoni non facciano nulla”. Un testo che esorta all’impegno celebrando la giustizia; difatti è scritto da un artista impegnato, legato all’Associazione dei Giusti della Terra.

Gaetano Liguori
Gaetano Liguori

Non sparate sul pianista. Viaggio nel cinema western

di Gaetano Liguori

Skira, 2017

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