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Top-Flop Ten 2020. Dialogo di Anton Giulio Onofri sui film visti quest’anno

Top-Flop Ten 2020

Qual è il peggior film del 2020? E il migliore? Risponde Anton Giulio Onofri con la sua Top-Flop Ten 2020. E ci assicura: il Cinema è ancora vivo e vegeto

– Fine anno. O fine Danno, come dice qualcuno. È tempo dei consueti bilanci. È stata davvero così orribile, questa annata cinematografica senza festival o quasi, con pochi grandi titoli e film visti o recuperati raramente in sala, e più che altro in streaming su internet o sulle piattaforme deputate?

– Non è uscito Woody Allen, che è già pronto da settembre, e già questo basterebbe per bollarla come un’annata ‘no’, però a ben guardare non sono mancate le sorprese, né una qualità diffusa e costante a dimostrare che il Cinema è ancora vivo e vegeto.

– Quindi la possiamo stilare lo stesso una Top-Flop Ten 2020 di quanto si è visto in questi mesi di clausura domestica, salvo la timida pausa estiva tra un’ondata e l’altra del virus?

– Certamente. Da dove cominciamo?

Per aspera ad astra, direi. E dunque dai dieci peggiori via via a salire fino al podio. Qual è, insomma, il peggior film del 2020?

– Una recente campagna pubblicitaria stradale di Twitter recitava così (traduco a memoria): ‘Io non entro nel 2021, se non vedo prima il trailer’. A dimostrare che il film più brutto del 2020 sono proprio i 366 giorni di questo Duemilaventi! Ma tornando seri, in fondo alla classifica metterei Notturno di Gianfranco Rosi. Non se ne può davvero più del suo cinema costruito, impostato, finto, ed eticamente discutibile: andare in Medio Oriente e costringere gente che ha vissuto tragedie immani a rimetterle in scena in favore della sua macchina da presa preoccupandosi più delle inquadrature e del montaggio che del dolore di quei poveri disgraziati, è un’operazione delittuosa.

Top-Flop Ten 2020

– Ma non è il candidato italiano all’Oscar per il Film Straniero?

– Già. Evidentemente l’Oscar proprio non lo vogliamo vincere, quest’anno. Quando si sa benissimo che agli Americani piacciono i film italiani che raccontano l’Italia del loro immaginario, da Amarcord a La Grande Bellezza, passando per Nuovo Cinema Paradiso. Non capisco perché non si sia scelto di candidare Le sorelle Macaluso di Emma Dante, a mio parere infinitamente più adatto… Risalendo la classifica, al nono posto dei peggiori metterei il fallimentare Été 85 di François Ozon, storiellina d’amore gay di imbarazzante banalità, nonostante la bravura dei giovani interpreti. Un accenno veloce a Tolo Tolo con Checco Zalone, che non ha rinnovato i fasti del precedente e molto più riuscito Quo vado? e a La vita davanti a sé di Edoardo Ponti (con sua madre Sophia Loren), che rientra a buon diritto nella categoria del ‘perché accanirsi?’. Deludente, per la consueta troppa carne al fuoco, il presuntuoso remake di C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, Gli anni più belli di Gabriele Muccino, di cui rimangono però in memoria i giovanissimi attori che interpretano i personaggi di Favino, Santamaria, Kim Rossi Stuart e la Ramazzotti da adolescenti. Brilla per inerzia Hammamet di Gianni Amelio, nonostante la mostruosa prestazione di Favino, trasformato con un trucco miracoloso in Bettino Craxi.

Top-Flop Ten 2020

– Bravi attori, ma brutti film, insomma.

– Sì, è un fenomeno tipicamente italiano. Ma nella postazione successiva metterei finalmente un film americano: Da 5 Bloods – Come fratelli, diretto da Spike Lee e prodotto da Netflix, che parte come storia bellica per poi virare verso il thriller psicologico, imbarcandosi in traiettorie narrative incerte e poco convinte. Poco più sopra, c’è ancora una guerra: il Primo Conflitto Mondiale di 1917, allestito dall’altrimenti ottimo Sam Mendes come un brutto videogioco e filmato in uno stucchevole piano-sequenza vistosamente taroccato. Tenet di Christopher Nolan non lo definirei una delusione, perché da lui non ci si aspetta ormai che questi pasticciacci complicati e pretestuosi, manifesti di un cinema freddo, antipatico, ingarbugliato e ridicolo, nonostante qualche raro momento spettacolare di talentuosa messinscena.

– E siamo al ‘migliore dei peggiori’, cioè al film che chiude la decina dei flop dell’anno.

– Dici bene, ‘il migliore dei peggiori’, ma sempre in area flop si rimane: so che si scandalizzeranno in parecchi, ma Favolacce dei Fratelli D’Innocenzo non sono proprio riuscito a digerirlo…

– Ma come? Ha addirittura vinto un premio importante a Berlino!

– Appunto: a Berlino. Dove non hanno la minima idea di cosa sia davvero la profonda periferia di Roma, spacciata dai gemelli di Tor Bella Monaca come succursale di un set di Todd Solondz, artificiosa, lisergica, e popolata di creature che ti aspetteresti in un film di Haneke più che nell’aggiornamento, come qualcuno ha scritto – secondo me del tutto inopinatamente – delle borgate pasoliniane di Accattone e di Mamma Roma

– Un anno disastroso per il Tricolore, quindi: su dieci brutti film, sei sono italiani!

– Mi duole, ma è l’amara realtà. Tuttavia non disperarti, perché la Top Ten ti riserverà invece una grossa sorpresa.

– Ah sì? Vai dunque: chi c’è al decimo posto?

– Non correre. Vorrei prima segnalare un guilty pleasure con cui ho concluso le mie visioni 2020 giusto qualche giorno fa: WW84, cioè Wonder Woman 1984, di Patty Jenkins. In USA ha talmente sfondato al botteghino che la Warner ha deciso di mettere in cantiere il terzo episodio della serie. Un’esaltante fantasia-omaggio ai colori, al look, alla moda, alle pettinature degli anni ’80 del secolo scorso, quando senza che ce ne accorgessimo veniva seminato tutto il Male che ha trionfato in Occidente nei quarant’anni successivi, dalle guerre per il petrolio al MeToo, e a un Grande Fratello azzimato come Berlusconi che attraverso la televisione entra in tutte le nostre case per realizzare ogni nostro desiderio… C’è anche un Presidente seduto alla scrivania della Casa Bianca che assomiglia sia a Reagan che a Trump: un film molto più complesso, stratificato e politico di quanto non sembri dalla facciata spettacolare…

– Ottimo. Ma ora torniamo a noi e alla nostra classifica.

– Certo. Decimo posto, si diceva. Senz’altro Mank di David Fincher. Ha fatto arrabbiare parecchi puristi per lesa maestà, perché sminuisce Orson Welles e il suo capolavoro, Quarto potere, ma a vederlo come ho fatto io fingendo di non sapere chi e cosa fossero né l’uno né l’altro è uno spietato affresco in un abbagliante e barocco bianco e nero dell’America di ieri e di oggi. Poi c’è il fresco vincitore dell’European Film Award, Druk – Un altro giro, di quel Thomas Vinterberg che fa sempre film fighetti e insulsi tipo Il Sospetto (enorme successo di pubblico di qualche anno fa) mentre stavolta ha azzeccato in pieno i toni di un inno alla vita e al vino come agente disinibitore per recuperare quella giovinezza e quella libertà che il tempo sembra volerci inesorabilmente sottrarre.

In ottava posizione l’ennesimo capolavoro animato della Disney/Pixar, Soul, di Pete Docter, obbligato dalla pandemia a uscire per la prima volta direttamente sul canale televisivo Disney+: è l’ultimo capitolo di una trilogia ‘della morte’ iniziata nel 2017 con Coco e proseguita con Onward, di Dan Scanlon, che ho sistemato al posto successivo, quasi a pari merito: è una storia ambientata in un mondo fittizio che ricostruisce il nostro immaginario cinematografico delle fiabe e della fiction più in generale; pensa che di questo ho fatto in tempo a vedere l’anteprima stampa prima dell’inizio del lockdown di marzo, che di fatto ne ha bloccato l’uscita per mesi.

Al sesto c’è un autentico cult, delirante e sgangherato, un pezzo di cinema che scalcia e urla come un toro impazzito mentre lo stanno macellando: Capone, di Josh Trank. Non è piaciuto quasi a nessuno, ma non riesco a spiegarmi come mai. Ce l’ho ancora addosso il vomito e la diarrea di un Al Capone devastato dalla sifilide e prossimo alla sua morte prematura, che qui ha il volto imbolsito e tumefatto di Tom Hardy.

– Vai con la cinquina finale.

– Ok. Guerra e Pace di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, straordinario documentario su un secolo di reportage fotografici e cinematografici sull’arte della Guerra si posiziona al quinto posto. Al quarto e al terzo altri due documentari firmati da un Werner Herzog sempre più rarefatto e sublime: il più recente Fireball, dedicato ai meteoriti che da millenni sfiorano o colpiscono il nostro Pianeta, e Family Romance LLC., girato in Giappone e in realtà dello scorso anno, ma io ho potuto recuperarlo solo durante i mesi della clausura: quando il cinema gioca tra fiction e realtà con l’abilità di un consumato prestigiatore.

La seconda posizione è tutta di Clint Eastwood e del suo splendido Richard Jewell, visto a gennaio, quando nessuno si sarebbe aspettato quello cui saremmo andati incontro: infatti sembra passato talmente tanto tempo che nel ricordo riaffiora già come un inossidabile classico. Sempre sia lodato il magnifico Clint.

– Sono curioso della sorpresa di cui parlavi poco fa, che quindi ti sei conservato per la vetta della classifica…

– Esatto. Non è propriamente un film, però non è nemmeno una fiction (per come la penso io, le fiction molto raramente sono ‘cinema’), ma questa è una miniserie autoconclusiva che il suo stesso autore, regista di tutti gli otto episodi, considera come un unico film. È in assoluto la ‘cosa di cinema’ più bella e sorprendente vista in questo disastrato anno bisesto: We Are Who We Are, di Luca Guadagnino. Lui di solito divide pubblico e critica tra veneratori e hater, mentre stavolta sembrano tutti d’accordo nel decretare il capolavoro: lo spaccato di una generazione di cui noi adulti ignoriamo praticamente tutto, raccontata con candore innamorato e assolutamente mai giudicante. Inchino. Come vedi, quindi, non proprio un’annataccia…

 

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