Umberto Boccioni
La città che sale
1910-1911
MoMA, New York
Coraggio, temerarietà, audacia.Velocità, energia, pericolo. Sono le parole chiave de IlManifesto del Futurismo. Filippo Tommaso Marinetti fu l’autore del testo e, quindi, anche il fondatore del Movimento Futurista, la prima Avanguardia novecentesca italiana.
Filippo Tommaso Marinetti e Benedetta Cappa nel loro appartamento in Villa Adriana, Roma 1932.
Nella forma di un inno ai nuovi valori e ideali della modernità, il Manifesto venne pubblicato in Italia all’inizio di febbraio 1909. Ma fu il 20 febbraio di quell’anno che, grazie alla pubblicazione sul quotidiano parigino Le Figaro, ricevette un riconoscimento a livello internazionale.
Il Manifesto del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti
“È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.”
L’arte istituzionalmente riconosciuta era il bersaglio dei Futuristi. Giovani innovatori, sollecitatori di ribellione contro la tradizione, affermarono una nuova accezione di bellezza: “la bellezza della velocità”. Per cui: “un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”.
Benedetta Cappa Marinetti (1897-1977), Velocità di motoscafo, 1919-1924, olio su tela 70×110 cm.
Non v’è più bellezza se non nella lotta. Per cui un’opera priva di carattere aggressivo non potrà mai definirsi capolavoro. L’opera degna di tale nome è quella che incita alla sovversione, alla rivoluzione, in un solo coup d’oeil.
Umberto Boccioni La città che sale 1910-1911 MoMA, New York
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie.
I musei, tradizionali luoghi di custodia e di tutela, promuovendo unicamente quel patrimonio artistico riconosciuto sono chiamati cimiteri:
Musei: cimiteri!… Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti… ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo… Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire? Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati! …) è dannosa. Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!… Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!… Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!… Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!
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