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Contenitori di ossessioni e desideri. Gli oggetti perturbanti di Meret Oppenheim a Lugano

Meret Oppenheim, Das Paar, 1956 mostra LAC MASI Lugano Meret Oppenheim, Das Paar, 1956

«Posò nuda per me, con le mani e le braccia imbrattate di inchiostro nero».

«Fu pubblicata soltanto una foto di Meret appoggiata al torchio,
ma anche quella era decisamente conturbante,
un esempio perfetto del gusto surrealista per lo scandalo».

Man Ray, Self Portrait, 1963.

Meret Oppenheim (1913-1985) fa ritorno in Svizzera. Controcorrente: la mostra Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum -che ha inaugurato l’anno espositivo del LAC di Lugano e proseguirà fino al prossimo 28 maggio 2017- intende rendere giustizia a una delle artiste più note del Novecento, presentandola in un dialogo con quelli che furono i suoi colleghi più famosi.

Meret Oppenheim fu per molti l’incarnazione della bellezza surrealista, la “bellezza convulsa”, l’immagine dei tre valori cardine dei surrealisti: amour-liberté-poesie. Motivo per cui venne celebrata anzitutto come la Donna, la Modella e la Musa del movimento fondato da Andrè Breton piuttosto che essere riconosciuta per la sua produzione artistica autonoma e originale. Un vecchio schema di valutazione delle artiste donne, nulla di nuovo.

Man Ray, Erotique voilée, Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussis, 1933  mostra LAC MASI Lugano
Man Ray, Dettaglio da Erotique voilée, Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussis, 1933

La Oppenheim giunse a Parigi nel 1932, appena diciottenne. Pur ritrovandosi fra i più importanti artisti d’avanguardia, tra cui Hans Arp, Man Ray, Marcel Duchamp, Alberto Giacometti e Max Ernst, seppe affermarsi nel contesto del Dadaismo e del Surrealismo sviluppando una ricerca dai tratti originali. Emerse nel panorama artistico degli anni ’30 sviluppando i temi maggiormente indagati all’epoca: dalla riflessione sullo spazio dell’immaginario alle fantasie erotiche e oniriche, dalla figura della donna come femme fatale e musa erotica all’esaltazione del gusto per il feticismo, dallo sradicamento della funzione dell’oggetto – tema peculiare del Dadaismo – al rapporto con la natura.

La mostra testimonia il fertile dialogo che Meret Oppenheim ebbe con i grandi artisti dell’epoca. L’esposizione palesa il comune intreccio di intenti e ispirazioni, ciononostante alterna il dialogo a monologhi del tutto originali. Un percorso che si snoda tra un centinaio di opere, intende ripercorrere la sua intera ricerca artistica connotata dall’uso di molteplici tecniche e stili: dall’assemblaggio alla pittura, dall’immagine all’astrazione figurativa. Una produzione che sfugge a ogni etichetta.

Tra le produzioni peculiari dell’artista svizzera ci furono anche i cosiddetti assemblaggi. Pur riconoscendo la manifesta ispirazione tratta dai ready-made dadaisti e dagli objets trouvés surrealisti, la sfida artistica della Oppenheim consisteva nel dare una connotazione che fosse personale e, quindi, originale a tali opere. Tazze, boccali, scarpe e guanti prendono vita. Trasformati in entità animate, sviluppano chi la pelliccia, chi la coda, chi vene e capillari, chi le zampe e chi, invece, “sceglie” di unirsi in «baci appassionati».

Meret Oppenheim, Das Paar, 1956 mostra LAC MASI Lugano
Meret Oppenheim, Das Paar, 1956

Basilea, 1936. Alla Galleria Marguerite Schulthess, in occasione della prima personale dell’artista, fu esposta l’opera Ma gouvernante, My nurse, Mein Kindermädchen: un paio di scarpe décolleté bianche avvolte da uno spago presentate su un vassoio, un’opera che riscosse un successo del tutto inaspettato. Lo stesso anno si tenne la mostra di oggetti surrealisti alla Galerie Charles Ratton di Parigi, dove Meret presentò Le Déjeuner en fourrure: la celebre tazza ricoperta di pelliccia. Mentre al 1956 risale una delle sue opere più celebri Das Paar: un paio di stivaletti da donna uniti alle punte.

Meret Oppenheim, Déjeuner en fourrure, 1936
Meret Oppenheim, Déjeuner en fourrure, 1936

Nell’orbita dada e surrealista, tali sperimentazioni portano alla luce un tema affrontato in prima istanza dai dadaisti, ripreso dai surrealisti e dalla stessa Oppenheim: lo sradicamento della funzione dell’oggetto. Attraverso la decontestualizzazione, l’oggetto viene catapultato in un contesto artistico dove si eleva ad opera d’arte autonoma, perdendo l’originaria funzione. Ma, se il ready-made, per eccellenza duchampiano, era in fondo “solo” una riflessione sul valore della decontestualizzazione, gli objets trouvés surrealisti, oltre a contraddire il loro uso consueto, esprimono la complessità della psiche umana. Gli oggetti surrealisti subiscono vere e proprie modificazioni, effettuate con materiali anti-tradizionali.

Lo scambio materiale implicito nella tazza in pelliccia fa incontrare l’elemento culinario con quello animalesco, il freddo con il caldo, e la visualizzazione del senso del tatto crea una relazione sensoriale fisica con l’osservatore.

In accordo all’immaginario surrealista, gli oggetti si trasformano in feticci. Cosicchè, l’oggetto trasfigurato contiene ed esprime le proiezioni dell’identità individuale dell’artista. Si fa contenitore di ossessioni e di desideri. Il processo artistico rivendica quella componente personale e intima del produttore. Si tratta quindi di scavare nei meandri emotivi e restituirli con associazioni improbabili, di operare con il metodo delle libere associazioni e del paradosso visivo.

La funzione dell’oggetto è unicamente simbolica: evoca sensi velati, dischiude elementi nascosti. L’oggetto surrealista sancisce la fine della rottura tra visibile e dicibile, inaugurando la loro unione sostanziale.

Meret Oppenheim, Tavolo con zampe d'uccello, 1939-82, mostra MASI LAC Lugano
Meret Oppenheim, Tavolo con zampe d’uccello, 1939-82

In particolare, nella concezione artistica di Meret Oppenheim, gli oggetti non sono mai inerti. Ciò che è in contatto con il corpo ne assorbe la forza vitale, le pulsioni, il respiro e anche la capacità seduttiva. Uno dei temi maggiormente indagato dall’artista svizzera è proprio il rapporto tra corpo e indumento in una prospettiva erotica surrealista, che unisce perversioni, deviazioni e occultismo. Due polacchini, Das Paar (1956): un bacio appassionato tra una coppia di scarpe. Un sandalo ricoperto di pelliccia, delle vene impresse su un paio di guanti, la tazza impellicciata. Il soffio vitale penetra gli oggetti inanimati.

Oltre alle incongruenze surrealiste e alle decontestualizzazioni dada, emergono nelle opere-oggetto della Oppenheim le ossessioni, i desideri e le fantasie oniriche della stessa artista. Ciò rende l’oggetto perturbante: l’identità manomessa fa emergere l’inquietante incertezza riguardo a ciò che era ed è sempre stato familiare. Sottratti dal loro uso “profano”, gli oggetti vengono restituiti all’interno di un contesto artistico che incrocia spesso quello “rituale”.

Meret Oppenheim, Handschuhe paar, 1985 mostra LAC MASI Lugano
Meret Oppenheim, Handschuhe Paar, 1985
Meret Oppenheim, Bon Appetit Marcel, 1966 mostra LAC MASI Lugano
Meret Oppenheim, Bon Appetit Marcel, 1966

Informazioni utili

Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum

Fino al 28 maggio 2017

A cura di Guido Comis, in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte
LAC, Piazza Bernardino Luini, 6
6901 Lugano

www.masilugano.ch

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