È trascorso poco più di mese dall’inaugurazione della mostra “Mea Culpa”, che espone la complessa produzione di un grande nome dell’arte contemporanea: Santiago Sierra (1966). Aperta il 29 marzo scorso, l’esposizione sarà visitabile fino al 4 giugno 2017.
Quella ospitata al PAC di Milano si presenta come la prima grande antologica in Italia dedicata all’artista spagnolo, ma non serve andare a cercare troppo indietro nel tempo per trovare un’altra esposizione a lui dedicata nella città. La galleria Prometeo lo scorso settembre 2016 aveva infatti proposto una riflessione dell’artista sul diverso uso della medesima simbologia nelle culture occidentali e orientali, incentrandosi su opere che utilizzano croci uncinate, contenenti latte e dall’amaro retrogusto storico.
Non ci sono però dubbi, quello scelto dal Padiglione è un approccio profondamente differente e più completo. Il ruolo ritrovato dell’istituzione milanese come sede di riflessioni sulle produzioni degli artisti contemporanei, l’aggiornato comitato scientifico, il duo internazionale di curatori e la presenza in fase di allestimento dello stesso Sierra hanno permesso di creare un eccellente solo-show.
Le opere esposte si riferiscono a un periodo di tempo che va dagli anni Novanta a oggi, ma anche i lavori meno recenti riescono a mantenere vivo un dibattito sulla contemporaneità per le tematiche affrontate: divisioni, confini, l’inattesa duplice sconfitta della società di massa e al tempo stesso delle minoranze.
Sono opere che parlano sotto forme diverse, l’eterogeneità di linguaggi e strumenti presenti colpiscono con forza il visitatore. Non tutte sono opere d’arte, foto e video sono talvolta solo reperti e testimonianze di performance del passato, ma ogni oggetto, immagine e suono mira a travolgere il pubblico. Desidera più di ogni cosa risvegliare le coscienze assopite.
È proprio qui che la poetica di Sierra prende forma, nel superamento di una critica sterile al mondo contemporaneo, l’artista vuole chiamare a sé un popolo di individui, ricordare che la massa è composta di singoli e che tra questi suddivisi ugualmente doveri, responsabilità e colpe. Una ricostruzione di una società che è allo sbando, ridotta a schiavitù di falsi dei.
Non è un caso dunque se le performance di Santiago Sierra si costruiscono spesso sulle dinamiche di questa mercificazione dell’uomo. Per una modica somma di denaro, prostitute, tossicodipendenti, giovani disoccupati e uomini comuni consegnano il proprio corpo all’azione di dell’artista, che ne dispone a proprio piacimento.
Poco cambia che si tratti di qualche ora di attesa, come nel caso della fila indiana creatasi all’esterno del Padiglione per ricevere 10 euro ognuno, o che invece sia un marchio eterno, come il tatuaggio di una linea orizzontale continua sulla schiena di gruppi di persone, azione che ripete all’Avana, a Città del Messico e a Salamanca.
Lungo tutto il percorso espositivo si incontra sotto diverse forme il tema del singolo e del suo ruolo all’interno di una collettività, sia che si tratti di manifestazione di sottomissione come quelle descritte, sia che si celebri invece l’adunanza di singoli ribelli, come nella video proiezione presente nella sala principale della mostra: “Destroyed Word”.
Realizzato tra il 2010 e il 2012, è diviso in 10 scene, ognuna dedicata a una lettera della parola KAPITALISM, totem e vittime dell’azione distruttiva di uomini (e animali) da ogni parte del mondo, da diverse etnie ed estrazioni sociali. I semplici atti dei singoli, affiancati, concorrono all’abbattimento metaforico e fisico del concetto universale della società capitalistica.
Una riflessione che scaturisce già dal titolo della mostra, avvicinando il pubblico alla riflessione ancora prima che possa varcare l’ingresso del Padiglione. Il “Mea Culpa”, voluto come titolo dai due curatori, è dunque rivolto al visitatore, è da recitarsi mentre si contempla ciò che la contemporaneità ha prodotto, che per Santiago Sierra è in particolare la perdita del valore dell’identità. Minoranze, singoli, intere culture si perdono in un mescolamento forzato che non produce uniformità pacifica, ma che ha come risultato divisioni ed emarginazioni.
Non tutto dunque è perduto per l’artista che chiama a raccolta, il suo è quasi un inno. Come quelli presenti nell’installazione sonora “Europe Long Play” che fa da cornice al mural di Blu, all’ingresso del PAC. In questo caso però gli inni nazionali dei 27 stati membri, che nel 2009 facevano parte della Comunità Europa, sono suonati contemporaneamente e generano cacofonia, che è lettura delle problematiche di coesione europea ancora presenti (basti pensare al recente avvenimento della Brexit).
Divisioni materiali e immateriali, emarginazioni e rappresentazioni dell’uomo moderno sotto il giogo della collettività senza direzione positiva, culminano nelle immagini del “NO, global tour”. In una rilettura dell’iconicità del LOVE di Robert Indiana, il monumentale NO di 3 metri di d’altezza, è dal 2009 protagonista di un tour mondiale .
Una negazione generica e assoluta che non soffermandosi fisicamente in nessun luogo, non assume alcuno contesto e resta potenzialmente applicabile ad ogni affermazione o opinione possibile. Un NO contemporaneamente universale e particolare che identifica perfettamente lo spirito di Santiago Sierra.
Informazioni utili
Santiago Sierra – “Mea Culpa”
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano,
dal 29 marzo al 4 giugno 2017