Dal 15 giugno in sala Io Danzerò (La Danseuse), lungometraggio d’esordio della regista francese Stéphanie Di Giusto sulla storia dell’artista francese Loïe Fuller. Nel cast la cantante Soko, Lily-Rose Depp e Gaspard Ulliel.
Dopo aver concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes, sia nella selezione ufficiale Un Certain Regard sia per il premio Caméra D’or per la migliore opera prima, arriva in Italia Io Danzerò (La Danseuse), lungometraggio d’esordio della regista e fotografa francese Stéphanie Di Giusto.
Proposto in anteprima a Bologna alla tredicesima edizione di Biografilm Festival (alla presenza della regista e della stessa attrice protagonista), il film narra l’ascesa al successo di Loïe Fuller, artista e ballerina oggi considerata fra le prime (se non la prima) esponenti della performance art.
È stata capace di rivoluzionare la sua epoca e la nostra. Toulouse-Lautrec, Rodin e i fratelli Lumière la ammiravano devotamente. La regista rivelazione Stéphanie Di Giusto riscopre Loïe Fuller, grande protagonista della meravigliosa Parigi dei primi del Novecento. Coperta da metri di seta, circondata di luci elettriche e colori, Loïe reinventava il suo corpo a ogni esibizione, sorprendendo il pubblico con la sua ipnotica e celebre “serpentine dance”. Divenuta il simbolo di una generazione, avrebbe fatto di tutto per perfezionare la sua arte, incurante anche della propria salute. Ma l’incontro con Isadora Duncan avrebbe cambiato presto tutte le carte in tavola…
Loïe Fuller, stella delle Folies Bergère, fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento portò in Europa un nuovo modo di concepire l’esibizione artistica. Figlia del West americano e formata in tenera età dagli spettacoli folkoristici dei vaudeville, dei circhi e del varietà di strada, la Fuller non si considerò mai una danzatrice, ma fece dei movimenti del suo corpo un imperativo della sua espressione teatrale: spogliandosi dei costumi classici del balletto e ricoperta da infiniti strati di seta, con l’aiuto di due bastoni stretti nei pugni Loïe Fuller si appropriò di uno stile artistico unico nel suo genere, arricchito da effetti speciali – al tempo, ancora inusuali sul palcoscenico – di cui si curava personalmente.
Stéphanie Di Giusto porta sul grande schermo la storia pubblica e privata della sua protagonista, riscattandone contemporaneamente anche l’arte, oggi non così conosciuta.
A leggere i nomi che compongono il cast (per la gioia, invece, dei tabloid), si farebbe fatica a credere che La Danseuse sia un’opera prima: a interpretare la sua protagonista Soko, l’eclettica artista francese in attivo sia sul campo musicale che cinematografico (ma attenzione a chiederle informazioni sui prossimi progetti per il grande schermo: “I’m not thinking about movies at all!” ha dichiarato con enfasi al pubblico di Biografilm); Lily-Rose Depp, la figlia eterna adolescente di Johnny Depp e Vanessa Paradis (musa indiscussa del cinema europeo), nei panni della celebre ballerina Isadora Duncan, che negli stessi anni rivoluzionò la danza tradizionale; Gaspard Ulliel, non-più-così-giovane promessa del cinema francese, che dopo aver interpretato Yves Saint Laurent (in Saint Laurent, di Bertrand Bonello) e la collaborazione con Xavier Dolan, per dare una svolta alla carriera sembra aver intrapreso la strada della queerness; Melanie Thierry, in un ruolo forse soffocante ma degno della sua bellezza algida e continentale.
Imbevuto nelle atmosfere decadenti e sfarzose della Parigi degli inizi del Ventesimo secolo, fra abiti eleganti e castelli in mezzo ai boschi, soffitte illuminate e teatri d’avanguardia, il ritratto degli eccessi della Belle Époque e dei suoi artisti incompresi è gentile e trés français. La regista conduce il suo pubblico attraverso i lunghi corridoi e i giardini selvaggi delle antiche ville nobiliari, seguendo le corse scatenate della sua protagonista, circondata da ragazze bellissime che come angeli le danzano intorno, fino ad ammettere lo spettatore nello spazio privato del palcoscenico. E proprio sul palcoscenico si consumano contemporaneamente la magia della performance e la tragedia privata della sua esecutrice: fra mille colori e sinuosità, gli stessi strati di seta leggera che prima la rendevano farfalla, finiscono per soffocarla e precipitarla nello sconforto fisico ed emotivo.
>> Io Danzerò per certi versi ricorda il Planetarium di Rebecca Zlotowski, presentato all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, con cui non condivide soltanto l’ormai onnipresente Lily-Rose Depp, ma tutti quegli elementi tipici dell’empowerment femminile e del romanticismo saffico che conferiscono al film un’atmosfera delicata e familiare: la danza, gli sguardi fugaci, l’erotismo sussurrato, i costumi trasparenti, fino al topos per eccellenza della vasca da bagno à la Marie Antoinette.
Non serve esplicitare la tensione erotica fra la protagonista (Loïe Fuller scelse di non nascondere la sua omosessualità, al contrario le cronache mondane raccontano dei rapporti con le allieve che molto spesso superavano i limiti del professionale) e le altre donne che l’accompagnano nel corso del film per capire che Io Danzerò è un film tutto al femminile (con un pizzico di creatività, si colgono riferimenti allo schema narrativo di un grande classico come Eva contro Eva). Non è d’altronde un caso che l’unica figura maschile degna di presentazione sia quella del mecenate Louis (Gaspard Ulliel), francese efebico e impotente che sfoga la sua passione per la protagonista finanziandone i progetti e le follie artistiche.
Io Danzerò passeggia su una strada spianata, cercando la bellezza nei movimenti serpeggianti della danza della sua protagonista. Soko, relativamente a suo agio nei panni della performer, sembra aver assorbito lo stile dalla ex-fidanzata Kirsten Stewart: sussurrando a voce bassa frasi degne della sua anima tormentata, soffre per quasi due ore di uno stoicismo che sfocia nel patologico. Il film, dal canto suo, scorre con piacere; in alcuni momenti forse s’inceppa e pecca nel manierismo tipico del melodramma – e forse delle regie delle opere prime, ma si salva con agilità grazie alle musiche di Max Richter e Nick Cave.