In Emilia, oltre al prosciutto e al culatello, si trovano piatti e vini sconosciuti al grande pubblico, ma riproposti con orgoglio e tenacia dai locali di provincia, come l’Osteria Ardenga
Recarsi in Emilia senza avere una conoscenza più che raffinata della gastronomia locale e del territorio è sempre un rischio: può essere quasi imperdonabile, infatti, mescolare tradizioni diverse o peculiarità metereologiche non sovrapponibili. Il culatello, ad esempio, s’identifica con la Bassa Parmense (a Sud del Po e fino alla via Emilia) ed i suoi inverni umidi e freddi, condizione indispensabile per donare al Re dei Salumi la sua tipica morbidezza. Discorso ineccepibile fino a cinquant’anni fa, aggiungono i maligni: al giorno d’oggi con i volumi annuali di produzione, con gli investimenti effettuati dai produttori e con le sofisticate tecnologie di ventilazione/umidificazione, il clima è destinato a contare un po’ meno.
Stesso discorso si può fare a proposito del Prosciutto di Parma, celebrato a Langhirano e nel capoluogo provinciale in questi giorni di inizio Settembre, nell’ambito del suo XX Festival: non siamo più nella Bassa ma in una zona con altre caratteristiche, meno umida, affacciata sull’’Appennino Tosco-Emiliano e influenzata dal “Marino”, il vento che spira da Sud-Ovest e contribuisce in modo determinante alla stagionatura dei prosciutti. Che un tempo avveniva sicuramente aprendo le finestre delle cantine e lasciando entrare le brezze appenniniche, oggi … be’, anche in questo caso le tecnologie fanno la loro parte, e meno male che nessuno si sogna di inserire proibizioni assurde entro il Disciplinare di produzione del “Parma”, uno dei portabandiera della gastronomia italiana nel mondo.
E quindi girare per osterie e ristoranti della provincia di Parma, in questo periodo festivaliero, significa riscoprire differenze e sfumature del gusto, talora anche rivalità, che ci permettono di celebrare ancora la cucina italiana come il mosaico policromo dalle centomila tesserine. E guai a confondere una ‘nuance’ con l’altra.
“La definizione di ristorante emiliano, mi ha chiesto? Ma questo territorio è un po’ grande sa, non esiste un qualcosa di emiliano valido per tutti i luoghi e le stagioni. Quanto a me, non sono ancora riuscito a scoprire e valorizzare tutti i prodotti della Bassa Parmense, nella mia osteria di campagna!”
Mite e affabile, ma almeno su questo irremovibile, il nostro Gianni Borlenghi, titolare e chef dell’Osteria Ardenga, nella Bassa Parmense a Diolo di Soragna. Irremovibile nel promuovere la ricchezza pirotecnica della fantasia emiliana: se Tizio nel ripieno dei cappelletti ci mette pure i fegatini e invece Caio, a dieci km di distanza, solo il petto di pollo, non si tratta di campanilismo feroce ma di un retaggio familiare da tutelare.
“Al di là di queste sottili distinzioni”, continua il Borlenghi, “che hanno pur sempre il loro valore, è emiliana quell’osteria che sa offrire i nostri celebri salumi, il culatello di Zibello, i tortelli d’erbette o zucca, l’anatra arrosto, l’oca con pasta di salame, la punta di vitello ripiena alla parmigiana e via di questo passo. E se parliamo proprio di Soragna, qui il salume più tipico è la Spalla di San Secondo Parmense, paesino a due passi da qui.”
E dal punto di vista enologico, cosa offre questo microcosmo?
“C’è un vino IGT che più locale non si può, e si chiama Fortana del Taro, caratteristico della zona di San Secondo, Soragna e Busseto. Un rosso rubino chiaro, di solito abboccato e frizzante. Noi lo beviamo col culatello, per tradizione.”
Lo abbiamo nominato così tante volte, il Re dei salumi, che bisogna per forza farsene portare un assaggio, ché a ignorarlo quasi si passa da screanzati. E in effetti le aspettative non vengono tradite: Sua Maestà è piuttosto stagionato, magro ma ancora molto morbido, col suo odorino penetrante di muffa buona e di cantina, ed un sapore che a un certo punto vira quasi sul piccante. La navigazione attraverso il microcosmo “Osteria Ardenga” continua con le tagliatelle ai funghi porcini, e poi anche al ragù di salame, e saltando per arrivare al dolce ecco la torta millegusti. Tre strati di consistenze diverse, una specialità della Bassa buona e sorprendente: la maître nonché moglie dello chef, Daniela Cassi, mi ha garantito che la preparano ancora da queste parti, di Domenica, quelle mamme e quelle suocere che per amore o per forza ti invitano a pranzo.
Egregio Borlenghi, vista la qualità offerta, io direi che fate bene a rimanere attaccati alle tradizioni ultralocali. Ma con i cugini del Festival del Prosciutto di Parma come andiamo? Vi porta un po’ di turisti, questo Festival, o no?
“Con tutto il rispetto per i cugini, qui siamo nella Bassa: parliamo di culatello, se non le dispiace. Venga a trovarci durante la nostra festa, il November Porc, tra un paio di mesi, e vedrà che ricchezza di piatti e di sapori, e che afflusso di visitatori, nonostante il clima autunnale.”
Niente da fare, l’Italia dei centomila campanili è questa: da Soragna a Langhirano ci saranno una cinquantina di chilometri, ma le culture gastronomiche diverse possono solo apparentarsi, senza lontanamente pensare di fondersi. E finché non si tratta di politica o di organizzazione sociale, ma di grande cucina da tramandare, può essere convincente parlare di “campanilismo utile”. Convinti anche, qui all’Osteria Ardenga, dall’abilità tecnica e dal savoir-faire di Gianni Borlenghi e Daniela Cassi.