Niente lacrime e sangue, aveva promesso Paolo Gentiloni, presentando la bozza della legge di Bilancio 2018. E’ quasi tutto vero, perché non c’è aumento dell’Iva, e non ci sono nuove tasse e gabelle di sorta. Quasi. Perché invece per i collezionisti che vendono opere d’arte è in arrivo una mazzata, visto come l’occhio del fisco ha deciso di mettere sotto la sua lente d’ingrandimento sulla vendita delle opere d’arte, intervenendo sul regime da applicare su queste cessioni, per favorire – si sostiene – l’emersione proveniente da queste operazioni. Non è proprio una bella notizia per gli appassionati o per tutti quelli che magari si trovano anche solo ad ereditare qualche bene prezioso, sia esso un operatore di mercato o un collezionista privato, che in maniera forse un po’ troppo semplicistica si vede bollare come «evasore fiscale».
Cerchiamo di spiegare. Nel capo della norma che riguarda il contrasto all’evasione, sono state avanzate due ipotesi, che, se dovessero rimanere anche nel testo definitivo, potrebbero colpire duramente le compravendite d’arte e di antiquariato. La bozza della legge di bilancio ipotizza così due regimi: una tassazione sul reddito percepito nell’ipotesi 1 oppure una modifica alle aliquote Iva nella seconda ipotesi. Comunque sempre oltre i diecimila euro. Se i costi dell’opera sono superiori ai redditi, l’eccedenza si può dedurre. Chi si mette in regola nei termini avrà le sanzioni ridotte a un ottavo del minimo. Come sempre bisogna saper districarsi nel burocratese e fra le complicate spire del linguaggio legislativo. Non è semplice. «In caso di emersione spontanea – si legge nella bozza – i redditi possono essere determinati a scelta del contribuente, applicando il criterio forfettario del testo unico delle imposte sui redditi».
In ogni caso, i collezionisti e gli addetti ai lavori hanno capito subito quel che c’era da capire: è in arrivo una mazzata. Così è partita subito la protesta, fra le onde del web e non solo. Precisiamo un’altra cosa, però: la legge non è ancora arrivato in Parlamento, e tutto può succedere. Dovrebbe essere presentata in questi giorni, il 25 o il 26 ottobre. E da quanto si sa, i tecnici sono tuttora al lavoro sul testo uscito dal Consiglio dei ministri, che non sarebbe stato almeno fino a ieri consegnato alla Ragioneria di Stato per la bollinatura definitiva. Inoltre, secondo i più informati, queste due ipotesi sarebbero state richieste dal mondo del Ministero di Economia e delle Finanze, con il parere contrario del Dicastero dei Beni culturali. Ciò non toglie che la protesta sia già cominciata in termini abbastanza accesi. L’Associazione Nazionale Case d’Asta (ANCA), tramite la sua presidentessa Sonia Farsetti, ha fatto sapere di essere «fortemente preoccupata: faremo tutto quanto ci è possibile per contrastare questi provvedimenti. Se tali modifiche dovessero passare, avrebbero un effetto disastroso sul collezionismo italiano, con un esito frenante sia per la vendita che per l’acquisto di opere d’arte». Lo Stato incasserebbe più soldi, il mercato molto meno. Siamo sicuri che a lungo andare sia un vero guadagno? Anche l’Associazione Antiquari d’Italia ha elevato alta la sua protesta. Ma i più preoccupati sono i collezionisti provati che si sentono oggetto di una sorta di «caccia alle streghe». Va detto che i i rapporti sul mercato del Sole24ore – Plus 24 portano a stimare che «negli ultimi 5 anni i corrispettivi delle vendite d’arte e antiquariato conseguiti da collezionisti privati possano aver superato la cifra di due miliardi d’euro. E’ su questi numeri che il Governo avrebbe impostato la sua legge. Così, nella bozza, si legge che da questa cifra il fisco spera di far emergere «una base imponibile prudenzialmente stimata in circa un miliardo di euro e un maggior gettito di circa 160 milioni».
Solo che il testo abbozzato dai legislatori non sarebbe così perfetto e si presterebbe a qualche modifica, secondo alcuni avvocati del settore, come Giuseppe Calabi, dello studio legale CBM&Partners, il quale sostiene che le due ipotesi previste nella bozza sono discutibili «soprattutto per come è introdotto l’argomento. Queste misure prevedono un effetto retroattivo delle sanzioni. Sarebbe stato lecito aspettarsi quanto meno un holding period come avviene per gli immobili. Mi sembra nel suo complesso una riforma un po’ pasticciata». Secondo Calabi, è assurdo parlare di evasione quando ci si riferisce ai collezionisti privati. «E poi non si capisce perché un privato cittadino che eredita opere d’arte e che decide di dismetterle, debba essere considerata una persona che svolge un’attività commerciale. Si potevano studiare imposte patrimoniali o una riforma dell’imposta di successione». Va detto anche che oggi come oggi, prima di questa bozza, un’opera d’arte può subire tassazione o esserne esclusa, come spiega Marco Bodo, commercialista specializzato in arte: «In caso di dismissione patrimoniale di un’opera derivante da successione non vi è norma che imponga tassazione. Ma nel caso di acquisto e rivendita, invece, è già prevista una tassazione».
Con la nuova legge, il legislatore vorrebbe far emergere tutte le cessioni, anche quelle occasionali. Il collezionista sarebbe tassato secondo la propria aliquota Irpef, sulla differenza tra il valore a cui ha venduto l’opera e quello di acquisto della stessa. Che detto così, pone il problema di sempre: ci rimettono i più onesti, quelli con il reddito più alto, mentre i veri evasori che denunciano niente o quasi niente, pagherebbero molto meno. Secondo Bodo, comunque, per gli operatori del settore, cioé gli artisti, le gallerie, le case d’asta, nulla dovrebbe cambiare. Sempre che siamo riusciti a capirci il giusto nelle tortuosità di linguaggio dei nostri legislatori. Come sempre ci vorrà un po’ di tempo. E di spiegazioni.