Jannis Kounellis amava l’arte della parola. Raccontava, affabulava, sostava su un pensiero già espresso per meglio cesellarlo, con quell’accento un po’esotico che sapeva di terre lontane. Era greco del Pireo – classe 1936 – e Roma fu la sua città d’adozione. Fino al febbraio scorso, quando la morte d’improvviso lo colse come nella più classica delle tragedie. La mostra che oggi lo ricorda, allestita a Palazzo Poli, prestigiosa sede dell’Istituto centrale per la grafica, di cui era stimatissimo frequentatore, contribuì egli stesso a realizzarla, ma le Parche già meditavano di trinciargli il filo.
L’artista è un drammaturgo – disse, immaginando se stesso, in un affollato incontro pubblico… uno dei tanti – oltre che un rivoluzionario ed anche, intimamente, un conservatore. Alludeva, forse, a quel rapporto eternamente ambiguo che si vive con la tradizione cui si appartiene: un pesante fardello da sostenere ma anche una luce provvidenziale sul cammino della creazione artistica. La Grecia antica, il Rinascimento, Caravaggio, Goya, e poi Boccioni, Burri, Fontana, Pollock. Il pittore nasce dalle viscere della tradizione, questa è la sua rivoluzionaria novità. La mostra alla Calcografia è dedicata alle opere grafiche di Kounellis che – ci conferma la curatrice Antonella Renzitti, direttrice del Dipartimento del contemporaneo dell’ICG – le aveva personalmente selezionate; e vengono esposte oggi per la prima volta in Italia. Ma addentriamoci cautamente nel percorso espositivo. Ispirato ai detti di Gesù del Vangelo apocrifo di Tommaso, ci attornia nella prima sala un ciclo di dodici serigrafie con sabbia rossa su carta Arches realizzate in collaborazione con la stamperia isreaeliana Har-El Printers & Publishers, che ha sviluppato una tecnica di stampa detta Terragraph basata sulla combinazione di sabbie e materiali leganti. Dodici tavole, come dodici erano, in origine, i coreuti del teatro greco.
Dovremmo far nostra la visione inconsueta dello spazio espositivo come cavità teatrale in cui risuonano le parole, le immagini, i segni che mani d’artista-drammaturgo hanno tracciato sulla sabbia e la maestria di un torcoliere fissa e moltiplica. Nella sala centrale dodici stampe a carborundum su carta Hahnemuhle, ultimo lavoro grafico di Kounellis, realizzato nel suo studio a Umbertide (vicino Perugia) in collaborazione con la Stamperia d’arte di Corrado e Gianluca Albicocco di Udine. Il carborundum è una tecnica calcografica ideata dal pittore surrealista Henri Goetz che prevede l’impiego di polvere di ferro e di resina epossidica. Dodici impronte di cappotti a grandezza naturale come grandi macchie frastagliate color nero corvino, quasi una suggestione gogoliana. “…immergemmo il cappotto nel secchio (contenente la resina, ndr). Il Maestro lo prese e con un gesto, quasi una performance, lo sbattè sulla lastra, lo schiacciò, lo girò. C’era l’impronta”. Questa la genesi delle tavole nel ricordo di Gianluca Albicocco (nel catalogo della mostra). Nell’ultima sala, ancora complice la stamperia israeliana, ventiquattro (due volte dodici) fotoserigrafie in bianco e nero selezionate dalla raccolta Opus I che compendia, attraverso immagini documentali, quarant’anni di intensa ricerca. Ci cattura, il famoso ritratto con la candela, scattato da Claudio Abate, dove l’artista, novello Diogene, getta una luce fioca sul mistero dell’uomo.
Informazioni utili
Dal 15 novembre al 7 gennaio 2018
Kounellis. Impronte
a cura di Antonella Renzitti
Istituto centrale per la grafica, Palazzo Poli
Via Poli 54, Roma
Info: www.grafica.beniculturali.it