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Jannis Kounellis/Giorgio de Chirico

Giorgio De Chirico (foto Ugo Mulas) / Jannis Kounellis

Solitudine, inquietudine, malinconia. De Chirico ha dato riconoscibilità a pene e angosce dell’immaginario collettivo, dalla catastrofe della prima guerra mondiale, alle ansie più variegate, fisiche e metafisiche. Personaggi e oggetti, che non erano mai stati presi in considerazione dalla pittura prima di allora, coesistono in uno stesso contesto creando un senso di straniamento. Scatole di biscotti monumentali che competono con l’architettura, strumenti di misurazione come squadre, regoli e telai geometrici: non tutto si spiega riconducendolo alla professione d’ingegnere esercitata dal padre, questi simboli per de Chirico sono tutti mentali. Nato a Volo, in Tessaglia  dopo aver studiato ad Atene e Monaco si reca  a Parigi dove frequenta  Breton e i surrealisti con la convinzione che l’artista deve estrarre dal vuoto qualcosa che prima non esisteva. Ossessionato dall’immortalità,  inserisce nella sua pittura il concetto di “volontà di potenza creatrice “ di Nietzsche, dove lo spazio si confonde con le cose, il principio logico si ribalta nel principio del non logico, andando oltre i limiti dell’umano, nell’assurdo. Giunto in Italia, a Ferrara, crea assieme a Carrà la pittura metafisica, una pittura nella quale la figurazione sembra raggelarsi, immersa in un silenzio quasi palpabile, in una sorta di negazione della vita e del movimento, in cui la materia organica si cristallizza in una opacità da pietra dura,immersa in una purezza inorganica, con una libertà mentale prossima alla condizione del sogno o della mentalità infantile. In questo sconvolgimento di tutte le scale di misura, dove un guanto o una scatola di fiammiferi può occupare per intero una piazza, la presenza degli oggetti prelevati dalla vita quotidiana è volutamente insignificante, anzi viene caricata di significati arcani, misteriosi o inspiegabili.

 

Giorgio De Chirico, La Mattinata Angosciante, 1912 Rovereto Mart

Per Jannis Kounellis l’uso di materiali e oggetti prelevati dal reale rivela una disposizione autoriflessiva e meditata sull’arte in cui l’arte coincide con la vita e l’operazione artistica si identifica con i dati dell’esperienza, secondo un’intenzionalità la cui meta è l’appropriazione della vita stessa in senso sociale e politico. Kounellis nato nel 1936, in Grecia, al Pireo, arriva  ventenne a Roma e decide che l’Italia sarà da quel momento la sua seconda patria. E’ il periodo in cui la cultura italiana cerca di recuperare il ritardo dovuto al provincialismo culturale aprendosi alle tendenze artistiche più avanzate, in particolar modo all’astrattismo e all’informale. In questo clima Kounellis si rende conto che l’inaspettato e l’inatteso possono essere la ricompensa per il rischio preso nel presentare un’opera d’arte aperta, non più legata al valore del prodotto finito. Con il pappagallo del ’67 (un vero animale vivo su un trespolo d’acciaio) egli ha chiara la concezione del rapporto tra l’opera e il suo contenuto, una nuova connessione tra pensiero oggetto in un gioco verbale in cui è l’immagine a generare la parola e viceversa. L’origine fantastica e magrittiana dell’operazione, di intento nominalistico e tautologico, con quanto di ambiguo e di surreale si trascina in questo processo, si stempera ben presto nel vitalismo prorompente e provocatorio delle sue installazioni successive, fino al ’69, con quella vistosa e liberatoria dei Cavalli vivi alla Galleria l’Attico di Roma. L’opera è una vista da non dimenticare, un’emozione che si può guardare e attraversare, invade lo spazio della galleria, lo spettatore non è più di fronte ma dentro l’opera, in modo da sentirsi parte integrante di essa. Alla natura viva si abbina ben presto  Il fuoco, simbolo di processualità, di trasformazione e di rigenerazione, che  compare nella Margherita di fuoco come un eliotropo “rovesciato”, generatore di energia, evanescente nella sua natura ossidrica, contrapposta alla “pesantezza” della bombola a cannella. L’intervento ideativo dell’artista appare ridotto al minimo, appunto “povero” , nonostante la complessità richiesta dall’allestimento .

Giorgio de Chirico (1888 – 1978) Meditazione al crepuscolo. photo Sotheby’s olio su tela, firmato e datato 1943, cm 40×50

 

A questo punto è chiaro che l’uso del materiale organico e naturale “comporta – come nota Celant- valutazioni ideologiche e sociali” alla forma elitaria del linguaggio, al suo cristallizzare un valore per sempre, al linguaggio”alto” , egli contrappone un linguaggio preso dal basso, povero perché  popolare, che in quanto tale parla prima di tutto ai sensi. Nel 1972 Kounellis si propone stando seduto, con la maschera sul volto e in compagnia del flautista attorno ad una tavola sacrificale, imbandita con i frammenti di una statua classica e con un corvo impagliato (non più animali vivi!), messaggero di morte e dissoluzione. A  questo innesto tra spirituale e fisico, Kounellis associa un recupero del passato, della sua ritualità mitica, della sua spiritualità; una connotazione ricercata attraverso la musica (il flauto, la danza), il colore, col quale ricopre le pareti in sequenze quasi musicali, e l’uso della maschera, propria della tragedia greca. A Torino, nel 1979, i due uccelli imbalsamati, trafitti da frecce, sospesi sulle linee di un elementare paesaggio urbano trasmettono tristi presagi della fine di ogni immaginazione liberatrice. Sulla parete, disegni sommari di case in prospettiva riecheggiano le prospettive metafisiche di De Chirico, giocando sull’enigma, sull’assenza, sulla memoria storica o ancestrale.

Jannis Kounellis, Untitled, 1989, lamiera di ferro, lampada a olio, carne, dimensioni variabili

Giorgio De Chirico,L’abbacchio macellato 1948 cm 100×140

Jannis Kounellis, Untitled, 1973, Installazione, dimensioni variabili

Jannis Kounellis, Untitled, Torino 1979, Installazione, dimensioni variabili

 

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