I Longobardi, un popolo che cambia la storia. In mostra a Napoli.
Il Museo Archeologico di Napoli è l’epicentro della mostra dal titolo “I Longobardi, un popolo che cambia la storia” in corso fino al 25 marzo 2018, una istituzione museale incentrata sulla cultura classica ospita per l’occasione l’archeologia medievale, 300 reperti provenienti dalle collezione pubbliche italiane.
Un percorso espositivo emozionante, diviso in diverse sezioni seguendo un ordine cronologico, dal 568 d.C. con Alboino e il suo popolo che varcarono le Alpi fino alla definitiva scomparsa, una mostra che focalizza l’attenzione sulla cultura, sull’economia, sulla scrittura, sulla contaminazione tra i Longobardi e il popolo cristiano e sulla espansione verso l’Italia meridionale.
La prima sezione della mostra è incentrata sui rapporti tra questa comunità e i Franchi, un contatto che avviene nella regione della Valle d’Aosta e pian piano si estese a tutto il nord Italia, interessanti sono i monili rinvenuti nella zona di Alcagnano, nei pressi di Vicenza, regnanti longobardi che sposarono esponenti della corte merovingia dando vita a nuove dinastie.
Vari gruppi si insediarono in tutta la penisola, entrarono in contatto con i Goti a Pavia, a Tortona e a Collegno, diverse sono le testimonianze rinvenute in alcune località, un esempio è la necropoli di San Mauro a Cividale del Friuli risalente alla prima generazione dei Longobardi in Italia, un corpo inumato con delle offerte, l’ostentazione sociale era utile alla trasmissione dei ruoli nella comunità, spilloni di bronzo, collane, fibule, decorazioni del fodero del coltellino e pettine con custodia erano parte integrante del corredo funerario.
Nelle tombe venivano deposte offerte alimentari come viatico per l’aldilà, sono stati ritrovati vasellame, uova, gusci di molluschi, conchiglie e parti di animali che avevano una funzione apotropaica, particolare è la sepoltura di un cavallo acefalo e dei cani che servivano per esaltare la figura dell’inumato oppure per accompagnare quest’ultimo nel viaggio ultraterreno.
>> Ciò che colpisce di questo popolo non è soltanto il modus vivendi ma anche lo stile decorativo nella realizzazione di manufatti, composizioni simmetriche, intrecci modulari, commistioni di maschere umane o antropomorfe derivate dalla mitologia o dalle antiche credenze, motivi di ascendenza nordica che gradualmente si stempera e si colora di nuovi contenuti a contatto con la cultura cristiana con un linguaggio figurativo più naturalistico.
Osservando i reperti delle tombe è possibile comprendere dei gesti rituali che avvenivano durante le esequie, cinture e armi potevano essere rotti e privati della loro funzione, si assisteva ad una spartizione di resti della cintura dell’antenato da parte di un parente, una trasmissione di eredità immateriale (prestigio e carisma). In questo riconoscimento sociale era possibile individuare nelle tombe maschili la presenza di attrezzi per la lavorazione dei metalli che testimoniavano il prestigio sociale dei fabbri e degli orefici, le tombe femminili longobarde, invece, mostrano una progressiva recezione di gioielli di matrice mediterranea, a sostituzione dei monili tradizionali.
Questo viaggio nel Medioevo prosegue e ci porta nella sezione dedicata all’economia longobarda caratterizzata da scambi commerciali con Bisanzio, si diffonde nel regno longobardo la moda bizantina, castoni floreali, pendenti a goccia e cloisonné, tutti accessori fondamentali nell’immaginario femminile. Proprio sotto il controllo bizantino, nelle città di Roma e Napoli fra il VI e il VII secolo l’economia raggiunge il suo periodo migliore, importazioni trans-marine diffondono oltre ai beni di consumo anche quelli di lusso, un esempio sono i reperti rinvenuti nella Crypta Balbi a Roma e nel complesso di San Lorenzo Maggiore a Napoli.
E’ ovvio che una economia florida non avviene solo attraverso scambi commerciali, ma è fondamentale l’uso della moneta, i Longobardi attribuivano ad essa diversi valori, era un simbolo di ricchezza e prestigio da sfoggiare come gioiello inserito nelle collane, spille e anelli, potevano essere in oro, argento e rame, nella società circolavano i Tremissi, monete che su un lato avevano le effigie dell’imperatore, sull’altro la Vittoria portatrice di ghirlanda e di croce sul globo. Come in tutte le comunità un aspetto fondamentale della società longobarda era l’arte, la scultura era prettamente connessa all’architettura, con chiese altomedievali scomparse o trasformate nel tempo, il repertorio iconografico e decorativo riprendeva temi e schemi compositivi paleocristiani, le sculture prevedevano finiture pittoriche integrate da paste vitree inserite negli alveoli.
Diversi sono i frammenti scultorei provenienti dalle chiese visibili in mostra, marmi di Pluteo o Paliotto della chiesa di Santa Maria La Rossa a Milano, frammenti di ambone con personaggio barbuto e pavoni della cattedrale di San Gaudenzio di Novara, oppure lastra frammentaria di provenienza ignota. Una perfetta simbiosi arte/scrittura è visibile all’interno delle teche espositive che contengono frammenti di architravi con tabelle dedicatorie, epitaffi ed epigrafi, come quelli della regina Raginthruda e di Badessa.
Seguendo l’ordine cronologico si giunge ai secoli VII e VIII, all’Italia nell’Europa dell’Impero carolingio, dove una testimonianza molto importante per comprendere il regno longobardo è l’Historia Langobardorum, (presente in mostra con una copia datata IX secolo) di Paolo Diacono, scritto a Cividale del Friuli descrive le gesta del popolo da cui discendeva l’autore, dalle origini mitiche fino alla morte del re Liutprando nel 744. Altro testo di notevole interesse è il Codex Legum Langobardorum.
Capitularia regum Francorum, un codice, in scrittura beneventana che contiene l’Origo gentis Langobardorum, antecedente alle leggi longobarde e ai capitolari franchi. Osservando il codice affascinano le miniature dei primi fogli nelle quali è illustrata la saga delle origini del popolo longobardo, nelle altre, invece, sono raffigurate i sovrani longobardi e franchi come legislatori circondati da armigeri e coppieri.
Le ultime due sale della mostra sono dedicate alla “Longobardia meridionale” analizzata dal punto di vista artistico, dalla scultura all’architettura, dalle epigrafi alla ceramica, con particolare attenzione all’attuale regione Campania, pregevoli sono le lastre con un cavallo alato nelle sembianze di Pegaso, un’altra coppia, invece, sono creature fantastiche che si dissetano in una vasca dalla quale germoglia un albero con foglie e frutti che riprende il tema figurativo dell’albor vitae, lastre provenienti dalla cattedrale di Sorrento e risalenti all’anno 1000. Tra le opere esposte molto interessante è l’epigrafe che ricorda personaggi dell’aristocrazia di Capua del IX e del X secolo, le famiglie nobili dedicavano ai defunti brevi componimenti che ne esaltavano le qualità e il ruolo sociale.
Restando nel sud dell’ Italia l’ultima parte della mostra è incentrata sugli oggetti in ceramica che raccontano i costumi alimentari delle comunità monastiche, un esempio sono i manufatti delle cucine di San Vincenzo al Volturno, olle da fuoco utilizzate per cucinare minestre e zuppe, vasellame e resti degli ultimi pasti, olle prive di anse e annerite dal fumo potevano essere sospese sulla fiamma ed essere utilizzate per la cottura di legumi quali lenticchie, pesce e carni, le brocche erano decorate a bande rosse e brune e utilizzate per la mensa ed erano prodotte all’interno dei monasteri, alle anfore si preferivano le botti, le carni non erano servite nel piatto ma sui taglieri.
Della Longobardia meridionale tre furono i centri di principale importanza, Benevento, Capua e Salerno, oggi, invece, è Napoli a raccontarne la storia attraverso questa imperdibile mostra.