Rintoccano le pendulerie dorate e i mantle clocks di bronzo e granito. E’ l’ora di Brafa. 63 candeline per la più antica mostra-mercato d’Europa. Come di consueto, postazione tra gli storici docks industriali, oramai divenuti “archeologia”, di Tour & Taxis, a fianco all’ormai (putroppo) celebre quartiere Molenbeeck alle porte settentronali di Bruxelles, passato il canale che connette la città a Charleroi. Un infinito cantiere che nel giro di (finalmente) pochi anni sarà totalmente riqualificato diventando un polo (anche) dell’arte belga, quindi europea. Moquettone d’obbligo srotolato per le migliaia di metri quadrati di salone espositivo -quest’anno si va di verdone smeraldo tagliato da linee geometriche sfalsate multicolor stile anni Ottanta firmato da Paul Héger- e “calpestato” da 134 gallerie internazionali provenienti da 16 paesi diversi. 14 new entry presenti per la prima volta a Brafa, tra cui le “nostre” Tornabuoni (con uno stand a metà tra antico e moderno, doppia “Attesa” di Fontana rossa e bianca monotaglio e monocroma vs cinque-seicento di Jacques de l’Ange e Maestro di Greenville), Theatrum Mundi (ecletticità al potere: si va da una calamitante ammolite fossile cangiante a un mega cranio di Triceratopo, da un Cristo d’Ultima Cena di Warhol a tute spaziali sovietiche e costumi cinematografici di tartarughe ninja) e Repetto (Vasarely terza dimensione, Christo tra Arkansas e Miami e bocce spaziali ovali e riflettenti di Fontana), quest’ultima di stazza però a Londra. Italiani che si sommano a Chiale Fine Art, Il Quadrifoglio-Brun Fine Art e Robertaebasta (qua approfondimento).
Qualità in generale elevata, sulla scia degli anni passati, senza picchi e iperboli degni di nota in campo pittorico e scultoreo. Sugli scudi, come tradizione comanda, l’arte “di casa”, legata alla storia del Paese: africana, fumetti, tappeti e arazzi su tutti. Poi quella orientale, l’archeologia classica, i gioielli e qualche chicca qua e là di paleontologia, design e oggettistica liberty-déco di terracotta o porcellana smaltata. Una fiera di sua natura estremamente “polivalente”. Quattro millenni di storia dell’arte raccolti in 10 giorni per 10 mila opere esposte. Cavalcata-tour de force fieristica dal 27 gennaio al 5 febbraio 2018. Ospite d’onore: Christo, non presente fisicamente (per motivi di salute) ma presente artisticamente con “Three store points” (1965-1966), idea-progetto messo giù di getto l’anno scorso durante una cena con gli organizzatori sulla tovaglietta del ristorante. Schizzo. Risultato: 14 metri di vetrine di negozi ricomposte e ricondotte alla freddezza del metallo, realizzate a partire da elementi recuperati nelle discariche e tra resti di edifici demoliti. La più grande installazione mai esposta a brafa, seppur relegata -bisogna di dirlo- tra il Ristorante e il Brafa Lounge senza troppa convinzione. Isolata. Più intensa l’anno scorso -ad esempio- l’opera optical-diffusa di Julio Le Parc irradiatasi a isole di colore per tutta la fiera.
Con la calata “impacchettata” del “guest of honour” quasi tutte le gallerie hanno portato il loro progetto-pacchetto in stand. Si segnala la crescita esponenziale dei prezzi delle opere-progetto della passerella arancio galleggiante sul Lago d’Iseo The Floating Piers. Un’onda Christo che si è abbattuta su Bruxelles questo autunno quando ha fatto a capolino la bellissima retrospettiva “Urban Projects” all’ING Art Center, situato esattamente di fronte al Musèe Magritte e aperta fino fine febbraio (25 ottobre 2017-25 febbraio 2018). Assolutamente da visitare.
Ma torniamo in fiera. Piantina alla mano. Passato il corridoio d’ingresso tra i primi espositori, con tanto di impennata di moquette e muschio su cui si palesa la “venuta” di Christo, si spalanca il salone centrale tra una festa di verde e una cascata di fiori. Ciclamini, felci e orchidee incorniciano il Meeting Point al centro della fiera, dove tra divanetti e poltroncine brilla il soffitto a filamenti colorati che riflette la moquette sotto, che divide in due ideali ali Brafa: brilla la sezione ovest sulla parte est, che si rifà con l’angolo delle meraviglie di Guy Pieters (macro sezioni di Folon, Christo, Reinhoud, Alechinsky e Schnabel), dal centro gravitazionale d’incontro di tutta la fiera, segnaliamo quelle che a nostro parere sono le 10 cose da non mancare quest’anno in fiera. Confermiamo, come ultima annotazione, l’ottima presenza di collezionisti, soprattutto europei, nelle due giornate di preview e un’affluenza “di livello” -a detta di tutti- maggiore dell’anno scorso. Molti fin dalle prime battute i bollini rossi accanto alle opere.
Rubens
“Diana e le Ninfe a caccia del cervo” è il Rubens “scoperto” in asta un paio d’anni fa da Klaas Muller. Secondo l’esperto Arnout Balis, il maestro fiammingo ha dipinto personalmente le tre figure principali, avvalendosi del contributo di due artisti specializzati per concludere questa tela di quasi 2 metri per 1 e mezzo: il paesaggista Jan Wildens e Paul de Vos che ha aggiunto i 2 cervi e i 12 cani. Datato tra il 1635 e il 1640, il quadro è esempio dello stile degli ultimi anni di Rubens.
Gladstone Gallery + Messeen De Clercq.
Un nome, una garanzia. Due nomi, due garanzie. Entrambe le gallerie sono da sempre sinonimo di altissima qualità: progetto, cura dello stand e opere esposte. Gladstone va coi top Kapoor, Marisa Merz e Ugo Rondinone, con parete esterna impreziosita da un duo di figurini erotico-esistenziali dai dissolti toni pastello di Pierre Klossowski (che connette così lo stand con la magnifica personale in galleria in città fino al 10 marzo). Messeen De Clercq trova equilibrio perfetto tra i giovani Benoit Maire, Thu Van Tran e Nicolas Lamas e gli ormai storicizzati italiani Claudio Parmiggiani e Giuseppe Penone. In mezzo i dettagli a ricamo di Jose Maria Sicilia (con personale in galleria) e la maxi installazione retroilluminata di Ellen Harvey.
Lo stand de La Pendulerie
Orologi e specchi, specchi e orologi. Da camino, da parete, da tavola o più semplicemente pendole. Del XVIII e XIX secolo, un trionfo di rintocchi e riflessi per la storica galleria parigina, presenza fissa di Brafa.
Lo stand della Galerie Delvaille
Scricchiola il parquet dello stand-boiserie fine Ottocento della Galerie Delvaille. Tra le nature e pitture della seconda metà dell’Ottocento, prevalentemente francesi, spicca un Irolli di primo Novecento: una piccola “Sete dell’estate” resa fresca a spatolate brevi di colore, poco o niente pastosa e materica. Prezzo: 18 mila euro.
Il Congo intimo di Didier Claes
Maschere su maschere. Con morbillo. Tutto venduto sin dalle prime battute e scintillio di bollini rossi del “venduto” accanto ai faccioni tribali congolesi. Volti scavati nel legno di oltre 400 tribù della Repubblica Democratica africana, utilizzati come maschere “di passaggio”, opere d’arte da indossare per compiere il Rito d’iniziazione sperduti nelle foreste, passo fondamentale per diventare adulti.
I tappeti di Vrouyr (con parete intera completamente ricoperta dai 9 metri per 4 di trama e ordito tinte brune mix di Déco e Nouveau dolcemente ricamati ad Anversa) e gli arazzi di De Wit (metri quadrati di lana e cotone finemente e magistralmente punteggiati e intessuti di Millefiori e Verzura).
Poliakoff di Lancz (bellissima composizione astratta dicroma tra il giallo e la panna del 1960) + Szafran di Claude Bernard (persi tra vertigini di acquerelli di scalinate senza fine e pastelli urbani che avvolgono gli spazi) + I tulipani di Kees Van Dongen da Stern Pissarro: un Bouquet da alcune centinaia di migliaia di euro. Un’esplosione floreale sensuale di piatte arie fauves strozzata nel collo del vaso contenitore-costrittore.
Le donnine déco di Galerie Cento Anni
Consueta menzione d’onore per Chiparus, Preiss e compagnia danzante déco dalla galleria Cento Anni. Bronzo, avorio e onice miscelati nell’eleganza delle pose femminili: “Leggere come l’aria” come recita il titolo di una di queste sorregente l’aria raccolta in una sfera di cristallo. Leggiadra.
La Cina di Christian Deydier
Bronzi e terracotte di millenni popolano lo stand parigino tra i top mondiali per l’arte orientale, specificatamente cinese. Curiosi e di grande interesse alcuni pezzi della Dinastia Tang (618-907): 3 “piccoli” giocatori di polo in terracotta policroma, una serie di 3 su 4 concepita per decorare la tomba di un bimbo dell’epoca; un poker di dame di corte e un cavaliere paffuto di mezzo metro blu, giallo, verde e bianco.
Harold T’Kint De Roodenbeke
Stand ricercato per il diretur di Brafa. Due macchie per le due pareti-sezioni principali: una secessionista con algida e austera donnina di Khnopff al centro, l’altra figurativo-astratta con cumulo materico bianchissimo di Bram Bogart più scultura che pittura. Bogart protagonista sull’esterno con una notevole e pastosa Piazza Rossa del 1964. Sensuale, come la donnina stilizzata in marmo bianco appena entrati nello stand. Sembra Brancusi e invece sorpresa: è Man Ray, 1919. Una chicca dalla primitiva purezza della forma.