Il pentito di mafia Gaetano Grado svela alla commissione antimafia che il dipinto sarebbe finito all’estero, forse in Svizzera, e poi scomposto per essere venduto sul mercato clandestino
La notizia l’ha scovata La Repubblica, ma poi curiosamente è stata ripresa e approfondita più dalla stampa spagnola – El Pais, ABC – che non dai media italiani, evidentemente troppo occupati in questi giorni a dettagliare ogni minima brezza che giunge da quel di Sanremo. Potrebbero esserci clamorose novità attorno alla più intricata spy-story artistica degli ultimi decenni, stabilmente inserita nella top ten degli “Art crimes” mondiali stilata dall’FBI: ovvero la sparizione dopo il furto della “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi”, capolavoro del Caravaggio trafugato nel 1969 dall’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo di Palermo. Un dipinto di grandi dimensioni, 2,68 per 1,97 metri, realizzata nel 1609 durante un presunto soggiorno palermitano del pittore che sarebbe morto l’anno successivo, e che oggi potrebbe valere qualcosa come 20 milioni di dollari. Nel corso degli anni sul thriller dei destini della tela sono emerse ricostruzioni più o meno plausibili, spesso comunque legate a rivelazioni provenienti da ambienti mafiosi: Giovanni Brusca assicurò che il furto era stato commesso su commissione dei corleonesi, intenzionati a barattarne la restituzione in cambio di un alleggerimento del 41 bis; il pentito Gaspare Spatuzza riferì invece che il dipinto sarebbe finito in una stalla dove sarebbe stato irrimediabilmente danneggiato da umidità e morsi dei ratti.
Ora però potrebbe emergere un’altra “verità” da mettere al vaglio di studiosi e investigatori: ed a metterla a verbale è stato ancora un pentito di mafia, Gaetano Grado, in un lungo racconto davanti alla commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi. Dal verbale, alcuni stralci del quale sono stati pubblicati da La Repubblica, emerge che “già nel 1970 il capo della Cupola, Gaetano Badalamenti, curò il trasferimento del quadro all’estero, verosimilmente in Svizzera, dietro il pagamento di una grossa somma in franchi. […] Badalamenti mi disse che verosimilmente il quadro era stato scomposto per essere venduto sul mercato clandestino”. Ma Grado va oltre, visto che avrebbe anche riconosciuto da una fotografia un antiquario svizzero che sarebbe arrivato in Sicilia per seguire l’affare. “L’intermediario è morto da tempo, ma il suo nome è un dettaglio prezioso per provare a ricostruire dove sia finito il quadro diventato il simbolo dei segreti di Cosa nostra”.