Simposio Talking Galleries: 5 trend che le gallerie dovranno comprendere e affrontare per resistere alle sfide del mercato
Si è da poco tenuto Talking Galleries, annuale simposio internazionale a Barcellona in cui si confrontano i principali protagonisti del settore.
Ecco 5 trend emersi che le Gallerie dovranno comprendere e affrontare, per resistere alle prossime sfide del mercato.
1. La scala e l’andamento del mercato dell’arte hanno raggiunto livelli e ritmi un tempo impensabili:
E’ ormai evidente come il numero di transazioni, i prezzi, il numero di soggetti diversi coinvolti nel settore, la velocità e gli scambi ormai globali, abbiano raggiunto livelli un tempo impensabili. Questo significa una offerta vastissima, alla quale non corrisponde sempre un’altrettanto ampia domanda (se guardiamo al nostro scenario nazionale). E’ importante allora proteggere i propri collezionisti, e in particolare un proprio collezionismo locale, tenendoselo stretto e trovando i modi di coinvolgerlo, innanzitutto per dare una sostenibilità a un sistema dell’arte nazionale, e affinché esso non cada vittima solo di altri grandi attori internazionali.
In realtà quello che lamentavano al convegno figure come Daniel Templon (storica Galerie Templon di Parigi e Bruxelles) era un po’ il contrario, ovvero troppi collezionisti, con troppi soldi che creano una eccessiva domanda che assorbe spesso indifferentemente tutto, con però anche troppi galleristi, e troppi artisti che tentano di soddisfarli. Il che crea enorme volatilità e incertezza. Purtroppo, non essendo poi molto valida la prima parte se riferita allo scenario italiano, riteniamo opportuno rileggere il consiglio soprattutto mettendo in rapporto la nostra realtà con questo scenario “problematico” da loro descritto, e la voracità di una tale macchina con cui spesso per molti è oggi difficile competere.
2. Diversi tipi di gallerie, poste a diversi livelli, sono coinvolte oggi in giochi diversi, seguendo necessariamente regole diverse.
L’interrogativo pendente su uno dei pannel della conferenza era quello più di interesse per le nostre gallerie italiane: “Qual è il futuro del Medio Mercato?“. La maggior parte degli esperti intervenuti al convegno ha rilevato come i galleristi in media cerchino di emulare i leader di settore, spesso con disastrosi o perfino distruttivi risultati. Il consiglio comune emerso a conclusione? Siccome seguire le “divinità” del settore non porta necessariamente (anzi raramente) al paradiso, la migliore strategia è mantenere e curare un proprio profilo più possibile specifico e particolare e soprattutto come, creare una comunità di persone, anche solo locale ma quanto più ampia e solida, che credano in esso, lo accreditino e si sentano di esso partecipi, conti quanto montare esposizioni e vedere i lavori.
3. L’Industria dell’arte dovrebbe riuscire a uscire dalla propria “torre d’avorio”, creare un proprio “ecosistema di scambi”.
Nelle scenario sempre più complesso contemporaneo, e così del sistema dell’arte attuale, vengono indicati come fondamentali gli scambi, sia fra stessi attori del medesimo settore, sia con professionalità anche di settori diversi, al fine di creare un sistema circolare fertile, una rete di scambio e sostegno sana, capace di supportare l’arte dalla sua produzione fino alla sua commercializzazione e promozione. Sebbene un pannel della conferenza fosse titolato “Ways of collaborating among Galleries” , la discussione non si è limitata a suggerire un maggiore scambio e coordinamento, piuttosto che un antagonismo suicida, fra piccole/medie realtà, ma piuttosto auspicio comune è stato quello di una creazione di una più ampia e solida rete di scambi fra gallerie, art advisors, fiere d’arte, come poi con partner finanziari, banche, assicurazioni, investitori di vario genere, che possano essere attratti dal settore culturale e creativo per vari fini, dall’innovazione alla mera comunicazione (vedi brand di moda o design).
Punto chiave una relazione simbiotica dunque, fra i vari attori coinvolti, o che possono essere coinvolti nel settore, per ampliare la sostenibili dell’offerta, quanto la disponibilità della stessa domanda (si pensi al ruolo che wealth managers potrebbero avere nel suggerire investimenti in arte a soggetti che non si sono mai avvicinati al collezionismo ma che ne hanno possibilità economica, e per vari motivi potrebbero trarvi oggi che una certa utilità).
E se ad oggi sembra che siano soprattutto le medie/piccole gallerie a pagare i rischi di ricerca su nuovi artisti e proposte, i “leoni” del mercato non credano di esser immuni dai rischi odierni del mercato: è bene infatti ricordare che ogni specie è destinata a morire, se muoiono le api. Senza una collaborazione orizzontale e verticale fra i vari attori del sistema dell’arte (e non solo) dunque, l’intera struttura potrebbe farsi molto vacillante, senza il nettare vitale per il suo sostentamento e soprattutto continuo necessario rinnovamento.
4. La mancanza di trasparenza sta finendo per danneggiare tutti, ma soprattutto i livelli più modesti dell’art business.
La mancanza di trasparenza nel settore rimane ancora uno degli aspetti più critici e, come rivelato anche dallo scorso report Deloitte, è ciò che ostacola principalmente ulteriori investimenti nel settore. Nessuno ad oggi sa come vadano effettivamente le vendite. Certo, sono pubblici i risultati alle aste, ma con una quota di private sales all’interno delle stesse aste poco definibile, e tutto un altro primo e secondo mercato parallelo attivo fra dealer e gallerie che rappresenta ancora una quota di certo non trascurabile del mercato, il suo valore effettivo è di fatto ancora difficilmente quantificabile con certezza. Lo dimostra la discordanza di circa 10 miliardi (che non sono pochi) fra i due report principali, quello di TEFAF (per cui nel 2016 45 miliardi, con un + 1,7% rispetto al 2015 ) e quello pubblicato da ArtBasel con UBS (per cui varrebbe 56.6 miliardi, ma con un turnover -11% rispetto al 2015). In un’epoca in cui si parla costantemente di Big Data, data science e open data, questa opacità pare ormai inaccettabile, soprattutto agli occhi di “economisti” che potrebbero essere altrimenti maggiormente attratti dall’investimento in arte, soprattutto nell’attuale volatilità dei tradizionali titoli finanziari, ma diffidano ancora per l’impossibilità di previsioni. E la mancanza di trasparenza si riflette innanzitutto nella determinazione dei prezzi, nell’assenza di standard di valutazione più o meno condivisi. E se questo può essere utile ad una loro manipolazione di passaggio in passaggio, alla lunga finirà solo che per nuocere tanto alla possibilità a nuovi investimenti e di nuovo tipo di investitori, tanto alla stabilità dei prezzi stessi di mercato. Considerando anche che ad oggi secondo Artactic speculation barometer è di 17.7, si ha lo scenario completo. Lo scambio di informazioni e competenze, soprattutto con un settore come il wealth management, sono le basi per dare una certa solidità al mercato. La trasparenza è il punto fondamentale da cui partire per avviare questa fertile unione con l’asse del wealth management, oltre a permettere la disponibilità di maggiori dati e più precise informazioni utili a indirizzare l’attività stessa delle singole gallerie, potendosi confrontare realmente con lo stato attuale del settore.
5. Attrarre nuovi collezionisti rimane punto cruciale per dare futuro al settore. Ma questo richiederà cambiamenti, spesso non facili
Come ha fatto notare la direttrice di TEFAF Nanne Dekin durante il convegno, il mercato dell’arte è l’unico che non si sta impegnando concretamente a raggiungere quei clienti che ancora non ha. (eccezione al massimo per le recenti strategie addottate soprattutto da case d’asta, ad esempio tramite l’asse della comunicazione e vendita online). Il settore preferisce mantenere perlopiù quest’aurea di “elitario”, che fa però perdere molte nuove opportunità di accesso a nuovi segmenti date dall’odierna economica del consumo simbolico/identitario, dove l’arte diventa a sua volta prodotto di “lifestyle” sempre più attraente per il sistema dei bisogni individuali, anche per l’alto valore simbolico di cui è portatore.
E’ stata quindi evidenziata l’importanza di un’educazione del giovane collezionismo, ad esempio con il ruolo che musei/iniziative universitarie possono avere per avvicinare fin da subito all’arte anche figure con formazione diversa. Vi è poi tutta la nuova generazione dei millennials, che richiede tutte nuove strategie di comunicazione, nuovi linguaggi, e nuove modalità di coinvolgimento. Il punto chiave è dunque saper guardare al futuro. Abbastanza cinica, ma piuttosto obbiettiva, è infatti la riflessione emersa: se la gran parte dei galleristi continuano ad affidarsi alle solite storiche famiglie di collezionisti e metodi consueti, allora l’art business avanzerà solo di funerale in funerale. (e questo sembra essere un consiglio quanto più valido, se applicato anche alla realtà del nostro collezionismo italiano) .
Articolo interessante, credo però che prima di pubblicarlo necessitasse di una revisione da parte di un editor, la sintassi a volte traballa.