In mostra a Monaco la pittura di Fritz Winter, un percorso in sospeso fra astrattismo e rigore geometrico.
Con un’antologica di 151 opere, la Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera rende omaggio a uno dei più autorevoli esponenti dell’astrattismo tedesco. In collaborazione con la Fritz Winter Foundation fino al 10 giugno 2018.
Appartenente alla sfortunata generazione che ha vissuto sulla sua pelle le rovine di due guerre mondiali e della dittatura nazista, Fritz Winter (1905-1976) porta nella sua pittura la stessa comprensibile amarezza di Georg Baselitz e Hans Hartung; a differenziarlo dalla loro vena decisamente malinconica e pessimistica, il fatto di trovare nella pittura una via d’uscita, e non solo di sfogo, all’angoscia e alle tragedie della controversa Germania del Novecento. La sua arte è una proporzionata miscela di rigore e fantasia, in equilibrio fra Klee, Mirò e il geometrismo costruttivista.
Alla Pinakothek der Moderne, 151 opere dal 1928 al 1972 – con in mezzo l’interruzione forzata della repressione nazista e la parentesi drammatica della Seconda Guerra Mondiale -, raccontano la carriera di chi, nato da umile famiglia (il padre era minatore), prima di dedicarsi alla pittura conobbe anch’egli le fatiche del lavoro in miniera, e dopo un periodo trascorso lavorando come elettricista, nel 1927 riuscì a iscriversi alla scuola del Bauhaus di Dessau, che frequentò fino al 1930.
Fu una coincidenza fortunata, perché proprio in quegli anni, il gruppo artistico era animato al suo interno dallo “scontro” di due opposte correnti di pensiero; da un lato, l’elvetico Hannes Meyer era un convinto sostenitore del costruttivismo, ossia di un’architettura che vede, in estrema sintesi, la forma di un edifico strettamente collegata alla sua funzione; questa impostazione, suggerita dalla sua formazione di architetto, trovava la perplessità di artisti quali Paul Klee e Vassily Kandinskij, che tenevano corsi di pittura all’interno del Bauhaus, nell’ottica di una creatività libera da condizionamenti razionalisti e funzionalisti.
Winter fu allievo di Paul Klee e ammiratore di Kandinsky, ma non restò indifferente alle teorie di Meyer, che sulla sua carriera ebbero comunque una verta influenza, anche se mediate. Intanto, in quella fine di anni Venti, Winter seguiva la strada di Klee e Kandisnkij, realizzando opere dal marcato carattere astratto, affiancando il disegno libero al geometrismo, e creando atmosfere oniriche e sottilmente inquietanti, con quei colori lunari che caratterizzavano anche la tavolozza dei suoi maestri.
Anni difficili, quelli, per la Germania di Weimar stretta dalla crisi economica e dall’insorgere di un nazionalismo sempre più esasperato che sfocerà nella dittatura hitleriana. Winter, come molti suoi colleghi, cerca nella pittura un rifugio, un sollievo ai tempi calamitosi, che però, per quei paradossi della storia, furono straordinariamente fertili dal punto di vista culturale.
La prima stagione pittorica di Fritz Winter si colloca a metà fra Bauhaus e Blaue Reiter, fra rigorismo tedesco e onirismo russo, ed è forte il richiamo al mondo della natura, la quale aleggia misteriosa sull’umanità. E Winter la rende simbolica con i suoi elementi vegetali stilizzati, gli uccelli o i pesci disegnati di profilo, schiacciati come fossero fossili di un’era geologica remota; si tratta di una natura che è metafora della memoria, del passato, dell’interiorità umana. Si coglie infatti un invito all’introspezione, una reazione dell’artista che resta sgomento di fronte alla violenza che in Germania caratterizzò gli anni Venti e Trenta per poi estendersi in tutta l’Europa.
Il 1930 fu un anno cruciale per lo sviluppo della pittura di Fritz Winter, perché, dopo averlo incrociato al Bauhaus, a Berlino ritrovò lo scultore e pittore russo Naum Gabo, anch’egli sostenitore del costruttivismo.Forte di quanto a suo tempo appreso da Meyer, Winter approfondì ulteriormente queste teorie fino ad applicarle nella sua pittura, che conobbe così una fondamentale svolta estetica. A partire dal 1931, le sue tele sono caratterizzate dalla prevalenza della forma geometrica, e da una tavolozza particolarmente scusa.
>> L’ascesa della sua carriera artistica fu bloccata nel 1934 dal regime nazista che incluse anche le opere di Winter fra la cosiddetta “arte degnerata”; dopo aver subita la distruzione dei suoi lavori, fu costretto a guadagnarsi da vivere come artigiano, e richiamato alle armi nel 1943, durante la guerra, prese parte suo malgrado alle fasi successive dell’Operazione Barbarossa e finì prigioniero in Unione Sovietica, da dove poté rientrare soltanto nel 1949.
Riprese subito a dipingere, e le sue tele di quegli anni sono un’autentica esplosione di colori e di forme, che in parte ricordano Jean Harp e Max Ernst, in parte guardano alle tele del connazionale Hans Hartung, ma anche al cromatismo di Joan Mirò. Il colore è infatti la ragione della sua pittura, mentre la forma diventa strumentale, e molto spesso perde completamente i suoi connotati. L’astrazione restò la cifra di Winter, come lo fu in gran parte per l’arte tedesca del secondo dopoguerra: una reazione inconscia a una realtà durissima da accettare, con le distruzioni belliche e il peso della vergogna dei massacri nazisti che ricadeva su tutto il popolo tedesco. Mentre negli Stati Uniti l’Espressionismo astratto ebbe, almeno nella sua prima fase, profondi connotati di critica sociale, in Germania il mondo dell’arte sentì avvertì la necessità di un disimpegno; il Paese doveva ritrovare la sua unità morale, e per questo servivano tempo e silenzio.
Per questa ragione, le riflessioni artistiche di quegli anni furono in larga parte di carattere estetico o esistenziale, e la primo filone si rifece Winter, che negli anni Sessanta esplorò la possibilità delle ampie campiture di colore, attraverso gli accostamenti delle quali suggerire paesaggi naturali o fenomeni atmosferici, o ancora giorni festivi quali la Pasqua. Si tratta di una pittura di sensazione, volta a esplorare la potenza espressiva del cromatismo. Su questa china, l’ultima fase della sua carriera fu caratterizzata dall’interesse per i principi della psicologia della Gestalt in fatto di percezione: a livello inconscio la mente sviluppa alcuni schemi attraverso i quali riconoscere ed elaborare i dati percepiti e tradurli in immagini. Poiché ogni individuo elabora le immagini in maniera indipendente, dando luogo a differenti interpretazioni della realtà, Fritz Winter nelle sue tele ultime si limitò a lanciare suggerimenti visivi, ad abbozzare forme che ognuno avrebbe completate e riempite secondo la propria percezione.
Resta da chiedersi, a distanza di decenni e con i protagonisti ormai scomparsi, cosa avrebbe potuto essere l’arte tedesca del secondo Novecento, se la tragedia della Seconda Guerra Mondiale non avesse avvilito, oltre all’Europa, la stessa Germania, provocando una caso di coscienza nazionale che influì anche sulla creatività artistica.