Kelela, classe 1983, origini etiopi arriva da Gaithersburg, nel Maryland. Dimostra meno dei suoi anni, è molto bella e ha un’aria quasi indifesa. Ma è solo apparenza. Il pubblico milanese, che si è ritrovato al Teatro Principe (una sorta di Loggia Nera di lynchiana memoria a pochi passi da Porta Romana) è ben nutrito e caloroso. Anche lei se ne stupisce. «Credevo non sarebbe venuto nessuno» confessa teneramente.
Attacca con LMK , primo singolo estratto dal suo album di debutto, Take Me Apart, uscito lo scorso ottobre, e subito il pubblico è conquistato.
Il palco è inondato di luci gialle e rosa, che illumino lei e le due coriste che la accompagnano. Sembrano la versione arrivata dallo spazio delle Supremes. Si muovono con coreografia minimali e geometriche, come quelle care a Solange versione A Seat at the Table. Kelela indossa una felpa bianca oversize squarciata sul fianco, è sensuale e moderna come la sua musica.
Non mancano ovviamente pezzi dal nuovo album, come la traccia d’apertura, Frontline prodotta da Jam City, DJ e produttore di Kelela dai tempi del primo mixtape, Cut 4 Me, e già al lavoro anche con Rosie Lowe e Troye Sivan, per l’album in arrivo. Da Cut 4 Me anche Do It Again e Send Me Out.
Bluff, uno dei più sentiti, parla di quando si continua ad amare qualcuno nonostante tutto. Nel suo repertorio mescola ballad soul ed elettroniche con ritmi garage e hip hop.
A Message resta uno dei suoi pezzi più belli, anche dal vivo; scritto con quei genietti dell’elettronica di Arca e Boots.
Tra una canzone e l’altra invita il pubblico milanese ad andare a votare, per evitare che in Italia si faccia la fine degli Stati Uniti (con Trump). Chiude con Rewind, singolo tratto dal primo EP, Hallucinogen, un’altro tra i suoi brani migliori (con lo zampino, tra gli altri, dell’ottimo Obey City).
Il concerto di Kelela è stato un’anteprima del festival torinese Club To Club, che prosegue stasera, 20 febbraio, al Fabrique con Fever Ray.