Lady Bird, dal 1° marzo al cinema il debutto alla regia di Greta Gerwig. Una lettera d’amore per quel posto chiamato “casa”.
Con Lady Bird, Greta Gerwig ha fatto il suo debutto dietro la macchina da presa. Come Ida Lupino, da attrice e sceneggiatrice (Frances Ha, Mistress America, Il Piano di Maggie) ora la Gerwig ha fatto il grande salto e si aggiunge alla “schiera” (per così dire) delle registe che hanno trovato posto a Hollywood. E lo fa con lo stile in sospeso tra i toni indie e le atmosfere agrodolci alla Woody Allen che da sempre si porta appresso.
Negli Stati Uniti la critica ha accolto la pellicola più che calorosamente e ora è in lizza per 5 Oscar: Miglior film, Miglior attrice protagonista, Miglior attrice non protagonista, Miglior regista e Miglior sceneggiatura originale.
Nella storia degli Oscar solo 6 donne fino ad ora sono state nominate come per la miglior regia (Lina Wertmuller, Jane Campion, Sofia Coppola, Kathryn Bigelow), e solo una è riuscita a vincere il premio, Kathryn Bigelow nel 2010 con The Hurt Locker.
All’ultimo Festival di Berlino, da poco concluso, le donne l’hanno fatta da padrone. Avremo un bis agli Oscar?
Al centro di Lady Bird troviamo il legame turbolento tra una madre e la figlia adolescente, Christine “Lady Bird” McPherson, interpretata da Saoirse Ronan (Grand Budapest Hotel, Lost River), che grazie a questo ruolo ottiene la sua terza nomination all’Oscar (dopo quelle per Espiazione e Brooklyn).
Come tutti gli adolescenti Christine è in cerca della propria identità, da qui la decisione di scegliersi da sola un nuovo nome, Lady Bird. Vuole essere creativa, padrona della propria paternità. Eccentrica, speciale: Christine vuole sentirsi unica – come tutti.
I conflitti con la madre, una bravissima Laurie Metcalf (la Jackie di Pappa e Ciccia – in originale Roseanne) danno forma al loro rapporto. Come spesso succede le due sembrano distanti, non si capiscono, ma solo perché sono esattamente uguali: combattive, selvagge, supponenti e determinate. Sono due facce della stessa medaglia.
Spesso nei film sull’adolescenza accade che la storia giri attorno a un ragazzo, all’aspetto romantico (l’idealizzazione dell’amore romantico, l’attesa di quello giusto, l’ansia per la prima volta – tutte tematiche che anche qui non mancano), in Lady Bird però la vera storia d’amore è quella tra madre e figlia.
La madre è un’infermiera che lavora instancabilmente per mantenere a galla la sua famiglia dopo che il marito ha perso il lavoro, ritrovandosi perso in un esodo di depressione e scoramento, ma riuscendo comunque a incarnare l’elemento gentile, che porta (o almeno ci prova) equilibrio in famiglia.
Lady Bird è all’ultimo anno di liceo, nel momento in cui deve decidere chi vuole essere e cosa vuole fare da grande. Un momento così particolare e sentito per la cultura statunitense da costituire un vero e proprio topos per la cinematografia contemporanea, quasi un filone a sé del coming of age.
Ambientato a Sacramento, California nel 2002, in un panorama economico americano che cambia rapidamente, Lady Bird è un film di formazione che guarda con indulgenza a quell’età in cui tutto sembra importante, senza mitizzare la protagonista (una sorta di alter ego della stessa Gerwig) ma restituendone un ritratto complesso e nostalgico. Questa ragazzina non sempre è simpatica, spesso è la prima a non capirsi.
Quello di Greta Gerwig è uno sguardo lucido e commovente, una lettera d’amore per Sacramento, sua città natale: «una lettera d’amore ad un luogo che sono riuscita a mettere a fuoco solo dopo essermene andata. È difficile rendersi conto della profondità del proprio amore quando hai sedici anni e sei piuttosto sicura che la “vita” sia altrove». Il film non è autobiografico nel senso stretto, niente di quanto di vede è realmente successo alla regista, ma incarna in maniera genuina quello stato d’animo di quando di disagio e incertezza che pesa sull’adolescenza. Una sorta di autobiografia di una vita mai vissuta, ma profondamente sentita.
Il film ci porta ad amare una città in cui non abbiamo mai vissuto e della quale, probabilmente, sappiamo poco e niente, e ci sentiamo traditi quanto Lady Bird, per far colpo su un ragazzo appena conosciuto, per darsi un’aria più cool, rinnega le sue radici e dichiara di esser di Los Angeles.
Ogni personaggio secondario è magnificamente scritto e caratterizzato, ognuno di loro potrebbe essere il protagonista di un proprio film: il primo amore (Lucas Hedges – Manchester by the Sea), la “rock star” strafottente (Timothée Chalamet) e, su tutti, la migliore amica da sempre (Beanie Feldstein), messa da parte per un’amica più cool, che in momento particolare del film rivelerà a Lady Bird una delle più grandi verità sulla vita: «some people aren’t built happy, you know».